Omaggio al regista Enrico Vincenti

Esperto e Coordinatore del

Centro Servizi Culturali di Bovalino

1970 - 1974
   

 

& L’ipotesi culturale  

& Tentativo di definizione della ragione

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L’IPOTESI CULTURALE

LO ZEUGMA

    “ Zeugma “ è figura letteraria che il sottocodice costituito dal vocabolario identifica come quella particolare situazione “per cui un verbo d’un solo significato si fa valere per reggere più termini, ciascuno dei quali vorrebbe un verbo suo proprio”.     
    Ma l’ambito semantico di un termine –si sa- deborda continuamente ogni suo significato ortodosso attraverso i significati d’uso. Per cui appena risaliti all’origine greca di “zeugma”, zeuyua sta per “congiungimento” e lo stesso sottocodice del vocabolario, è l’esperienza linguistica comune ai parlanti, può derivare dalla radice del “congiungere” una serie quanto mai vasta di significati: unire, mettere insieme, accoppiare, legare, far confluire, mischiare, mettere in comunicazione, porre in rapporto. La polivalenza semantica  del termine “zeugma” si fa così indice di rapporto e complessità di rapporto.

 “Parlare e lacrimar vedrai insieme”, fa dire Dante al conte Ugolino: e zeugma è il “vedrai”, reggente il “parlare” e il “ lagrimar ”. La figura, rapporto e serie di rapporti, lega la prima azione con la portante, la seconda con la portante, quindi la prima e la seconda insieme con la portante, poi la prima azione con la seconda e la seconda con la prima. 
    Lo “zeugma”, figura letteraria, attua cioè una plurisignificazione. 
    In questo senso essa si può assumere come una condizione di quel particolare messaggio onnicomprensivo che ci è dato dal linguaggio poetico, specificando di quello quanto i linguisti hanno detto con altri termini. 
   
Sull’altro versante, coscienti o no del loro operare, tutti costruttori di messaggi poetici – gli artisti – hanno sviluppato l’informazione plurisignificante. Seppure possessori di rozzi strumenti di analisi linguistica, fu chiaro ai più che la poesia non è lingua per cose elette da contrapporsi alla non-poesia come lingua che dei fatti comuni, bensì che poesia era plurisignificazione e non – poesia monosignificazione; che poesia era infinità di rapporti e non – poesia unico rapporto con il suo oggetto; che poesia era accumulo di informazioni e non poesia unica informazione; che poesia era scelta individuale e non – poesia informazione auscultata e non interpretata; che poesia era attenzionalità e coinvolgimento e non – poesia staticità o privato interesse dell’enunciato; che poesia era linguaggio inventato e quindi nuovo, non – poesia linguaggio derivato e concluso nel suo esporsi.
    
    “Zeugma”: figura per cui un verbo d’un solo significato si fa valere per reggere più termini.
    
   
“Zeugma”: significato per il tramite di uno che chiama altro.

    “Zeugma”: rapporto.

            Il rapporto tra elementi, la “struttura”, è nozione feconda dal XVII sec. in poi, in quasi tutte le discipline. La riflessione sul termine è, all’inizio del pensiero scientifico moderno ( tramite Spencer, Morgan; Marx ed altri ), l’equivalente della cognizione greca di “zeugma”. Essa ha significati, beninteso, in quella summa dello scibile che fu detta da Aristotile, per le diversificazioni e gli attributi che le sono stati assegnati in seguito. Ma l’atteggiamento scientifico, moderno e no, muove dallo studio del “modo in cui è costruito” l’oggetto ovvero dalla sua struttura.
     E’ inutile qui verificare l’allargamento del termine struttura, dall’insieme delle parti, alle parti di questo insieme, ai rapporti di queste parti tra loro; è inutile seguire le grandi strade e le due in particolare che – la prima – per una linea biologica, organicistica, naturalista ci porterebbe da Durkein fino alla scuola americana di Radcliffe - Brown, e – la seconda – per ispirazione concettuale -matematica prolungherebbe le intuizioni di Morgan a tutto Levi – Strass; e inutile ripercorrere e distinguere per accorgersi che non v’è disciplina ove l’approccio strutturalista ( o la sua ambizione, anche ) non si sia fatto strada; dall’iniziale biologia alla linguistica, passando per la etnologia e la moderna antropologia strutturale, o nel diritto, nell’economia e nell’economia politica, nelle scienze psicologiche e in sociologia, fin nello studio della storia e in quello della storia della cultura per investire i fatti di parentela, la cucina, il sistema delle buone maniere ecc. ecc.
    L’ingresso è notoriamente acquisito da tempo. La scienza sperimentale, decifrando la materia come atomo, si accorse ben presto che atomo era struttura e non materia; ma tutte le discipline scientifiche avevano già precorso la scoperta sostituendo alla concezione atomistica quella strutturale. Allo stesso modo che, cambiando i rapporti con la terra, l’individuo non fu studiato solo, bensì   come individuo – massa, dove massa ( e l’individuo nuovo che gli consegue ) era il portato dei media tecnologici.
    Ecco allora che “zeugma” (congiungimento messa in comunicazione) reclama la nuova specifica di quel rapporto per cui “un verbo d’un solo significato si fa valere per reggere più termini”. (O vorremmo chiamarli “terminali”, escludendo però in essi qualsiasi possibilità di finito?).

           

La situazione

    Afferma tra l’altro, uno dei maggiori mass - mediologici del nostro tempo, il canadese Marshall Ma Lhuan, che per l’azione dei media “la nuova interdipendenza elettronica ricrea il mondo a immagine di un villaggio globale”.
    Il rapporto zeugmatico dell’uno con il più di uno è qui interdipendenza elettronica, globalità del rapporto dell’uno con i tutti, perché quell’uno è il rapporto di quei tutti con lui: una specie di zeugma alle ennesima potenza, uno zeugma elettrico insomma. 
    E quando l’uno, che per la scienza post-atomistica è rapporto strutturale e non più particella univoca, tra particelle univoche, quando quell’uno pensa, mangia agisce, si comporta, quale è il suo nuovo ruolo e come si configura l’azione del suo esistere?
    “Gli ambienti – dice Mc Lhuan – non sono involucri passivi, ma piuttosto, processi attivi invisibili. Le norme base, la struttura permeante e i moduli globali degli ambienti sfuggono ad un’agevole percezione. Ciò che ostacola la comprensione chiara degli effetti dei nuovi media è la nostra abitudine, profondamente radicata, di considerare ogni fenomeno da un punto di vista fisso”.
    E’ una considerazione metodologica, una premessa nell’analisi della nuova civiltà elettrica che lo scienziato canadese fa succedere a quella macchina già superata.
    Come affrontare allora la conoscenza dell’ ambiente, che le scienze sociali pongono come necessaria prima di una qualsiasi azione programmata?
     La risposta, per la complessità e il rapido succedersi dei mutamenti, non è facile, non lo è almeno quando si senta l’insufficienza o il peso economico o l’inutilità ai nostri fini, di approntare i metodi statistici consacrati dall’uso corrente della doxologia.
    Ci conforta però l’assioma di Whitehead per il quale le mutazioni progressive della civiltà dipendono dai processi che si attuano nel suo seno distruggendo il sistema nei quali nascono. E i processi, sappiamo, sono quelli dei media tecnologici; in questo momento quelli elettrici che stanno distruggendo il mondo meccanico.
    Forze, allora, per conoscere un ambiente basta mettere in azione i suoi media tecnologici; conoscere un ambiente presuppone la conoscenza dei suoi processi.
    “La tecnologia della stampa ha creato il pubblico. La tecnologia elettrica ha creato la massa. Il pubblico è fatto di singoli individui che si muovono con punti di vista fissi e separati. La nuova tecnologia ci impone di rinunciare al piacere di tale atteggiamento, a questa prospettiva frammentaria. Il metodo del nostro tempo sta nel servirsi non di modelli singoli di esplorazione, ma di modelli multipli”.
    Situazione e modelli. Potremmo anche dire ambienti e tecniche, ma sarebbe meno corretto. La rottura dalle categorie di tempo e di spazio, ad opera dei media elettrici con la informazione e la produzione che ne consegue, muta profondamente il concetto di ambiente. I rapporti tra gli individui e gli ambienti necessitano di una revisione quando l’oggetto e la notizia arrivano contemporaneamente nel quartiere della grande città e nella casa in fondo al paese.
    Tutta l’informazione e tutti gli oggetti, nello stesso momento e in tutti gli ambienti: questo sembra essere il portato dei media elettrici! Il che significa peraltro globalità, coinvolgimento, stesso sistema di attese. L’individuo non reclama più una visione, un punto di vista, una spiegazione; sente l’ansia nevrotica della specializzazione e della categoria; vuole un ruolo e il ruolo-si sa – è globale, partecipante.
    Un messaggio culturale dovrebbe avere come primo interlocutore – secondo noi – non un ambiente o delle categorie, bensì il singolo individuo. Il concetto stesso di cultura giunge alla definizione di un atteggiamento collettivo partendo però dalle posizioni individuali. E per individuo non si designa qui la singola persona, ma tutti i singoli, apposti alle categorie, gli ordini, le classi, gli ambienti. La conoscenza di un singolo contesto ambientale, che pure è necessario perché la proposta non arrivi alla cieca, risulta meno importante di quella delle generali condizioni che sono dettate dalla natura dei nuovi media tecnologici e, primi fra essi, gli strumenti di comunicazione. La seconda definizione, quella di civiltà elettrica, comprende la prima (i vari contesti ambientali) ma ha già espletato una funzione: quella di minimizzare le differenze dei contesti ambientali e di allineare sul tavolo una identica serie di attese culturali.
    A nostro modo di vedere, bisognerebbe ancora smitizzare i procedimenti del rilievo statistico nell’azione culturale. Esso è un tipico strumento di quell’azione che tende a soddisfare i bisogni esistenti che, pertanto, debbono essere conosciuti. E’ l’azione sociale che reclama questo procedimento che noi abbiamo però riscontrato inutile per l’azione culturale. Noi potremmo rischiare, di proporre valori assolutamente distanti ed alieni dal contesto in cui operiamo: ma, a nostra esperienza, per l’effetto del massiccio intervento del mass-media, i valori assunti ed espressi da una comunità di un paese calabrese sono alla radice gli stessi proposti dall’operaio della FIAT, per l’omogeneità dei modelli che essi propongono, per la standardizzazione e la stereotipia degli oggetti a cui aspirano. Si tratta di vedere piuttosto quali siano questi valori generali e comuni e come quel particolare contesto accoglie dei controvalori. Ma l’esperienza diretta ci dice a che cosa aspira culturalmente uno studente e l’azione di un canale culturale ci offre la sua risposta e tutto il sistema di attese che la regge.

 

Lo Spazio

            Un diverso problema (diverso perché non interviene come scelta “ambiente” o classi o categorie) è invece quello costituito dalla ricerca dello spazio in cui produrre l’azione culturale. Il termine “azione culturale”, senza le premesse di un’idea di cultura e di modo di condurla, rinvierebbe ad una casistica quanto mai vasta di significati. Potrebbe, all’estremo, cointeressarci a partire dall’addestramento professionale, alle conferenze, all’educazione civica, alla ricerca scientifica, coinvolgendo tutte le fasi intermedie, previste o no dalle normali istituzioni.
    Ma non ci sembra specifico parlare di addestramento professionale come cultura, quantunque- è ovvio il ruolo di un individuo nella comunità è parte del suo atteggiamento culturale.
    Cultura è per noi il processo dialettico tra valori esistenti e valori proposti che, tramite una “crisis” nell’individuo, lo muove al salto di valore. Lo spazio che stiamo cercando non può essere quello già occupato da altre istituzioni, per un loro inutile doppione; né può essere quello opposto alle istituzioni, e per il fatto che non potremmo in ogni caso sostituirle, e per l’obiettivo riconoscimento delle loro funzioni; allora occupiamo uno spazio “tra” le istituzioni, movendo processi integrativi tra le stesse. Questa formula politica, se ci consente da un lato di tenere come automa l’azione culturale e di non ridurla ad un insufficiente supporto di organismi di ben maggiori possibilità, ci apre altresì alla piena collaborazione con gli istituti esistenti, con i quali intratteniamo un termine di rapporto multi valenti. Il processo vede – per esempio – da un lato la scuola, dall’altro lo spettacolo o l’informazione o il libro. L’azione culturale si pone tra i due organismi e, partendo dalla scuola o in collaborazione con essa, propone un certo tipo di spettacolo, la chiave dell’informazione, un diverso uso del libro. Si fa cioè mediatrice, con autonomia d’intervento e in uno spazio proprio, di due realtà che spesso si disconoscono l’un l’altra promovendo- attraverso valori di cultura – l’integrazione dei vari status dell’individuo.

 

LE TECNICHE

         A, elle, effe, a, bi, e, ti, o

A – l – f – a – b – e – t – o

Alfabeto.

Interpreta Mc Lhuan: “costruzione di parti frammentarie, senza significato semantico proprio, che devono essere disposte in riga a guisa di cordoncino”.
    E così la frase. E così il pensiero. (salvo restando il principio dello zeugma).
    In ogni fenomeno umano di una certa ampiezza intervengono congiuntamente più sistemi culturali che si sovrappongono in modo complesso. Un determinato aspetto di uno di essi viene rivisto da un altro in modo che ognuno offre più punti di approccio ed è analizzabile con più chiavi interpretative.
    Partendo dalla considerazione che i media tecnologici informano di sé il nostro tempo e le nostre cognizioni, il nostro intervento usa dei canali, ovvero degli ambiti di informazione, come elaboratori o portatori dei dati su cui si costruisce l’atteggiamento culturale.
    Essi, i canali, affrontano ognuno per il proprio modo i fenomeni umani: descrivono, inventano, ipotizzano, analizzano, fantasticano, considerano, mettono in riferimento.
    Il fatto umano, comprensivo di più sistemi, è centrale; i canali sono le sue chiavi di approccio o i suoi elaboratori.
    Bisognerà considerare però anche che un canale, con la portata delle sue proposte, è un fatto umano a più facce ed offre risultanti diverse nell’ambito di altri canali o è analizzabile con le tecniche degli altri.
    Durante questo primo anno di attività, un ciclo cinematografico ha conseguito risultanze tali che possono essere portate ad esemplificazione della struttura aperta dei canali. Il cinema espressionista tedesco di Carl Mayer e Fritz Lang, parte ed investe i fruitori del canale. Ma l’espressionismo è un fenomeno culturale complesso nella cui decifrazione interviene di volta in volta la letteratura di Max Brod, Gottfred, Benn e molti altri, o la pittura del gruppo del “ponte” e di quello del “Cavaliere Azzurro” o il teatro di Kaiser,Toller,  Hasenclever, Buchner l’attività di Max Reinhardt e di Jessner, o la letteratura storico intorno al periodo, o la scienza delle comunicazioni con l’avvento e l’uso della radio.
    Ogni canale propriamente detto chiama a sé gli altri (libro, arte, ricerca, teatro) e l’attività culturale si sviluppa attraverso i terminali, le stazioni di posta tra un canale e l’altro, istituendo una serie pressoché infinita di interrelazioni.
    Può così succedere, come è già capitato, che una serie di film consegua due attività complementari relative a canali diversi: una mostra-studio del libro espressionista, nel settore biblioteca, e una attività pittorica di interpretazione e critica di quei film nel canale arte.
    E’ la concezione dello “zeugma” per cui “un verbo di un solo significato si fa valere per reggere più termini”; oppure, se si vuole, è la concezione strutturale, post-atomistica, per cui la realtà è analizzabile attraverso l’infinita serie dei suoi rapporti.
    La fruttuosità di questa linea ci ha indotto a seguirla per ogni canale e per le attività all’interno degli stessi. Si prenda il teatro: quanti ”termini ” possono essere portati da quel solo “verbo” che è il canale?
    Spazio, movimento, gesto, corpo, luce, maschera, costume, musica, azione, ritmo, ecc. ecc.
    Prendiamo tre soli di questi termini: nello spazio teatrale, gesto, luce e costume si pongono e realizzano rapporti molteplici.
    Il gesto cerca e si costruisce con la luce, la luce batte e si compone sul costume, il costume si rapporta e amplifica il gesto; ma si può anche rivoltare la proposizione: il gesto interpreta l’esposizione del costume, il costume segue l’effetto luminoso, la luce si compone per esaltare il gesto.
    Vorrà ricordare che lo zeugma è un concetto che ci viene da un’idea operativa di struttura che, per quanto difficile da formulare in termini teorici, dispiega però le sue possibilità nella pratica azione nello spazio totale della civiltà elettrica.

           

TENTATIVO DI DEFINIZIONE DELLA RAGIONE

    Direi che l’intelligenza non razionale sfuma man mano e di lì nasce, in una linea a sua volta sfumata, la razionalità, come un colore diverso o una serie di linee ondulate anziché rigide.
Come si riconosce la ragione?
Chi appartiene alla razza ragionevole come agisce?
Formula principi generali e li applica ai casi particolari?
Sa immaginare prima la sua azione.
Fabbrica utensili.
E’ capace di trasferire idee nelle forme simboliche e di formare singoli astraendo dai singoli oggetti. Ha senso estetico e capacità creativa, si annoia quando non fa niente e si diverte a risolvere problemi solo per il gusto di risolverli. Quale è quindi la differenza tra intelligenza ragionevole e intelligenza non ragionevole?
Essa sta nella capacità di pensare in modo cosciente.Qualunque forma di vita con sistema nervoso centrale ha un certo grado di coscienza, come qualunque essere dotato di cervello pensa.
Però solo una mente dotata di raziocinio pensa e sa pensare.
Un animale non ragionevole ha coscienza solo delle cose immediatamente presenti ai sensi e vi risponde automaticamente.
Quando percepisce un oggetto, da una risposta unica: “ Buono da mangiare “, “ cosa pericolosa “.
Un essere ragionevole sa di pensare intorno agli stimoli sensoriali e inoltre da risposte su altre risposte, secondo una connezione a catena.
Inoltre un essere ragionevole è in grado di generalizzare.
Per l’essere non ragionevole ogni esperienza o è talmente nuova o è identica a un’espressione da lui ricordata.
Un coniglio scappa se vede un cane perché nella sua mente il cane è identico a un altro cane che gli ha dato la caccia.
Un uccello sarà attirato da una mela e sarà una mela ogni oggetto rosso unico.
Un essere ragionevole dice:” Queste cose rosse sono mele, e in quanto tali sono buone e profumate”, cioè stabilisce una categoria generale: “ mele ”.
E successivamente formula idee astratte – rosso, profumo, ecc. concepite indipendentemente da un oggetto specifico, e ordina le varie categorie: “Frutto” distinto da “mela”; “cibo”, distinto da frutto e così via.
Formulando idee astratte, diventa necessario singolarizzarle per poterle rappresentare indipendentemente dall’oggetto reale.
Un essere ragionevole è quindi un sinbolizzatore e comunica mediante simboli, cioè è in grado di trasmettere ad altri le idee sotto forma simbolica: l’uomo adopera attraverso i simboli verbali (parola) il raziocino.
E’ mia opinione, quindi, che il raziocinio differisca dal non raziocinio in quanto caratterizzato dal pensiero cosciente: dalla capacità di ragionare per sequenze logiche e in termini che non siano puri dati sensoriali.
Cioè noi sappiamo di pensare, il che non significa che tutta la nostra attività mentale sia cosciente.
La psicologia si fonda infatti sul fatto che solo una minima parte di attività si svolge al di sopra del livello della coscienza.
Possiamo rappresentare il cervello come un iceberg per un decimo fuori dall’acqua e per nove decimi sommerso.
Se dunque rappresentiamo una mente razionale come un iceberg, potremmo indicare l’intelligenza non razionale come la luce riflessa dalla sua superficie.
Quindi, per concludere, un essere ragionevole, non pensa coscientemente solo per abitudine, ma secondo sequenze tra di loro connesse.
Associa, cioè, una cosa all’altra: ragiona logicamente, formula conclusioni, e si serve delle conclusioni come premesse per giungere ad ulteriori conclusioni.
Inoltre raggruppa le associazioni e generalizza.
A questo punto non ha più alcun rapporto con la non – ragione.
Un essere non ragionevole si ferma ai dati sensibili, ma un essere ragionevole trasferisce le sue impressioni nelle idee, quindi formula idee di idee, in ordine ascendente di astrazione.
Insomma l’essere ragionevole si serve di simboli, mentre un essere irragionevole non è in grado di simbolizzare perché incapace di formulare concetti oltre le pure immagini sensibili.
Ma un essere ragionevole è in grado di fare una cosa meravigliosa: IMMAGINARE.
Concepire, cioè, qualcosa privo di esistenza sensibile: è in grado di creare.

 

 

LA CITTA’

        Sopra le case: i funghi di cemento che spuntano dall’asfalto dei nostri tetti – e sono i “ muscik “- servi della casa…i cassoni dell’acqua insomma.
Lo strano paesaggio delle terrazze e tetti è un po’ il simbolo della città; una città capovolta che ha messo i cortili in aria, che vive a rovescio.
Tutto intorno- vedendo da un terrazzo – tutto intorno ci sono i labirinti verticali.
 Le chiamiamo case, e sono verticali per via degli ascensori che altrimenti non servirebbero. Dentro questi buchi, queste case, ci sono i “minotauri” che stanno a guardare la televisione.

 

E’ UNA VISIONE DISUMANA?

        I “ minotauri “ sono coloro che si sono rassegnati a vivere nella città, perfettamente organizzata come un labirinto, come se fosse uno schedario.
Sapendo il nome della strada si può capire subito la sua condizione sociale, e cioè quando guadagna, che specie di grado sociale ha, ecc., ecc. sì, sì …Quello che ci rende mostruosi, è il fatto che siamo “ professionisti “ di questo “ labirintismo “ che non cerchiamo di salvarci, ne abbiamo fatto un   mestiere; la professione di vivere lungo la canna di ascensori tutta la vita.
Io vivo abitualmente nella mia piccola casa, d’estate cerco l’evasione, preferisco viaggiare, poi, torno nella casa dove c’è tutto quello che serve per vivere: la cucina “ laboratorio per fare da mangiare… il tavolo dove mangio, alle pareti ci sono i quadri di amici e miei.
La scelta della mia casa… inizialmente fu una scelta per isolarmi dalle altre verticali; oggi… questo palazzo è una specie di guardaroba… un armadio…un armadio burocratico dove ci sono altre persone che vivono quasi nella stessa maniera. Gli appartamenti hanno un numero con le due coordinate: il mio è I p. int. 6.
I p. per la longitudine, 6 la latitudine, quindi sono individuabile in un punto preciso.
Nel mio quartiere abitano dodicimila persone, forse, con circa trentaseimila cani che vivono insieme a loro e quindi in questa folla  io sono invisibile…invisibile, non visto e…vedo. Così forse ognuno di loro…
La storia è importante… è diventata la cosa più importante…è cominciato circa un secolo fa con il signor Marx.
E’ la coscienza storica della storia che può essere organizzata da noi stessi: La gente ha capito che non potendo essere presa in considerazione dalla storia, se la fa essa stessa, ha capito che ha i mezzi per farsela. Infatti non si preoccupa mai dell’individuo solo, di una caratteristica individuale, ma di qualcosa che rappresenta questo individuo come elemento, come simbolo di un vizio politico, di un vizio sociale.
Prendiamo le maschere che le donne si mettono sulle loro facce sono le maschere di cui esse donne si servono per difendersi, per rendersi invisibili cioè per presentarsi alla società in modo che svia, che altera completamente la loro autentica,loro vera personalità e la maschera più comune che si mette è quella dell’allegria, della buona salute, perché il peccato più grosso è di dare segni di infelicità e di malattia.
C’è anche la maschera del corpo, cioè molte donne vecchie non si vestono da donne vecchie; quando arriva il momento di cui la morte comincia ad apparire, si vestono sempre più allegramente; è un modo decente di eliminare la pietà degli altri e di fare di questa tragedia che è la morte, uno scherzo. Dunque ci vestiamo tutti da clawns.
Deduco che la lunga giovinezza di ognuno di noi è un po’ quella di vedere e passare attraverso le vite altrui, di farsi una vita che contiene l’originalità di aver vissuto e superato quelle degli altri, e dunque si fa così una vita ancora più personale; certamente più ricca.

            Propongo un esempio:

             Teoria del naso “

        Una maschera basata sul nostro naso. io credo che il naso sia la parte del nostro corpo più primitiva, la più originalmente  privata; gli occhi, la bocca, sono già, come dire, elementi politici della faccia, mentre il naso è rimasto un po’ l’antenato della faccia e la parte meno evoluta.
Allora prendiamo un foglio, buchiamolo al centro e mettiamocelo in faccia dopo aver disegnato prima gli occhi: “ facciamo noi stessi: primitivi “.
Costruiamo una piccola maschera dove il naso è protagonista, ci assomiglierà: “ Il simbolo lo stesso ma più esemplare, più significativo del nostro viso; infatti ricostruiamo il nostro viso    disegnando sul naso gli occhi, la bocca, e abbiamo il nostro ritratto essenziale.
Tutti abbiamo un naso come elemento che ci identifica, un naso che ci rende complici di noi stessi. Il nostro “ Totem “.

           

            Provate!

         Il resto è parte utile, cioè solo parte anatomica, provvisori la cornice della faccia che può essere una cornice qualsiasi mentre quella che abbiamo davanti è la vera faccia, è la parte storica con la maschera, come dicevo prima l’abbiamo ridotta ad una specie di essenza totemica di noi stessi che è tutta roba…sì, sì, fisiologica, biologica, anatomica, la parte clinica insomma.
Chiaro?
Abbiamo stenografato così la nostra faccia: l’identificazione della faccia, il Totem della faccia.
La maschera non come fuga dunque, ma come emblema ipocrita dell’uomo e forse come strumento di salvezza in questa società piena di solitudine dove ci nascondiamo agli unici testimoni della nostra ambiguità, cioè a noi stessi. Psiche…

 

Tutte le età sono contemporanee”

            Si è prima di Cristo, diciamo nel Marocco. Il medio evo è una Russia fine “900. Il futuro si desta nella mente di pochi. E’ l’alba a Gerusalemme mentre la notte pende sulle colonne d’Ercole…Ci serve una cultura letteraria che pesi Teocrito e Yeats con  la stessa bilancia .
“Uomini alteri sono resi alla terra questi i compagni:
Fordie che scrisse dei giganti e William che sognava la nobiltà 
e Jim il commediante che cantava: 
castello di Blazzney amore 
ora non sei che un mucchio di pietre!”

Sono i nomi di Joyce, di Yeats, di Ford adombrati in questo dei “Cantos” di E. Pound in cui l’autore fa per la prima volta uso della dimensione tempo – memoria.
Pound Ezra Sonnd :
Leggo un suo testo : una delle poesie di « Lustra », in cui il nostro si rivolge a Walth Witman e di così :

“Stringo un patto con te, Walth Witman,  ti detesto ormai da troppo tempo; vengo a te come  un fanciullo cresciuto, che ha avuto un padre dalla testa dura; Sono abbastanza grande ora per fare amicizia…
Fosti tu ad abbattere la nuova foresta, ora è tempo di intagliare il legno..
Abbiamo un solo stelo e una sola radice. Che i rapporti siano ristabiliti tra noi…”

Ora io potrei leggere questa poesia cambiando soltanto due particolari cioè il nome dell’autore e un’altra cosa:

“ Stringo un patto con te,
ERZA POUND,
 Ti detesto ormai da troppo tempo; 
vengo a te come un fanciullo cresciuto, 
che ha avuto un padre dalla testa dura. 
Sono abbastanza grande ora per fare amicizia. 
Fosti tu, ad intagliare il legno; ora è tempo 
di abbattere la nuova foresta .
Abbiamo un solo stelo o una sola radice.
 Che i rapporti siano ristabiliti tra noi…”

“ Oi barbaroi “! Tu barbarico.

“ Al diavolo, Robert Broxning, ( poeta americano ) non può esserci che l’unico “ Sordello “.
Ma sordello, è il mio bordello? 
Los Sordels si fo di Mantovana 
So-shu zanzolava nel mare…
La foca scherza nei cerchi di spruzzi bianchi 
della risacca.
Testa lucida, figlia di Lir
Occhi di Picasso 
sotto nero cappuccio di pelo, svelta figlia 
di Oceano; 
e l’onda fluisce nell’incastro della spiaggia; 
“ Eleonora, elenaus ed eleptolis 
e il povero vecchio Omero cieco,
cieco come un pipistrello “. 

Iniziatore Ezra, qualcuno disse: dittatore – di movimento d’avanguardia: vorticiamo ( the blast ) lascerà un segno incancellabile nella cultura inglese Cumming disse:

“ Pound “ è stato per la poesia di questo secolo ciò che Einstein fu per la fisica “.
Pound fa saltare le frontiere: scritti critici, lettere, poesia. “ A lume spento è del 1908. Personal: 1909 stesso anno Exultations 1910: Provenga. Poi Canzoni. 1912: Rispostes 1916: Lustra
“ Hugh Selwyn Mauberley” del 1920.

“ Eliot dedicò “Terra desolata a Pound chiamandolo” il fabbro “. E così scrisse di lui: “Pound fu maestro autoritario. Ed ha sempre avuto la passione di insegnare. Quando gli presentai il manoscritto caotico di “ Terra desolata”, lo riebbi indietro ridotto della metà, che è poi la sua forma definitiva; ed i segni blu che Pound vi tracciò sono la testimonianza irrefutabile del  suo genio critico”.

Pound forgiò Eliot, non solo abituandolo al taglio, alla forbice, ma forse anche all’uso dello stile parlato.
I primi “ cantos “ iniziò a scriverli nel 1917

“Entrez donc, mais entrez c’est la maison de tout le monde ( canto LXXX )

 Nel 1922 James Joyce, mezzo cieco, pubblicò “Ulissis”; lo dovette all’aiuto diretto di Pound, e gliene fu sempre grata.

E così Hemingway. Amici nella Parigi folle degli anni venti. Follie e miseria.
“ Un’era di croissants poi un’era di pains au lait”   (Canto LXXX)

           “Credevo” – diss Cocteau,- “di essere tra letterati, e poi vivi un gruppo di meccanici e di inservienti di garace”                     "…Quei due signori attraversavano “ La Concorde” o per quello…il negozio di roba vecchia di Judith con le poltrone di Theophile si poteva vivere in un appartamento simile con la vista dei tetti di Parigi. Ca s’appelle une mansarde i vecchi alberi vicino alla rue Jacob erano puntellati perché non cadessero ( Canto LXXX )

            Ezra Pound è nato il 30 ottobre 1885 a Hailey nell’Indaho.

            E’ New York la più bella città del mondo per esserlo non manca molto, non vi sono notti cittadine come le sue notti, guardato sulla città da finestre alte. E’ allora che i grandi edifici perdono la realtà e si investono dei loro poteri magici. Essi sono immateriali; non si vedono cioè quelle aperture luminose.

Quadrati e quadrati di fiamma, incastonati ed incisi nell’etere Più o meno questo disse e aggiunse: Questa è la nostra poesia; abbiamo tirato giù dal cielo le stelle per farle ubbidire alle nostre intenzioni. I suoi genitori abitavano a Hailey nell’Idaho un piccolo paese di fronte all’immenso filo delle montagne. Le terre venivano ancora concesse ai primi arrivati. Il padre di Ezra teneva i registri delle concessioni. Il clima rigido e la solitudine della regione non conveniva alla madre abituata a New York. Per questo, lui, non ricorda queste montagne rocciose e canta New York.

            I primi sedici “Cantos” appaiono nel 1925. L’opera ispirata alla “Divina Commedia”, doveva essere di cento canti. Ma il limite è stato superato: i Cantos sono 116.

Centinaia i personaggi citati. Inoltre greco, latino, dolce stilnovo, i poemi provenzali, il cinese, le parole nuove, la scrittura fonetica.

            Non si può leggere senza guardare le note delle citazioni. I canti sono per me soprattutto una serie di stupendi frammenti lirici collegati a volte da materiale di minor rilievo.

            E’ una summa della cultura mondiale dalle origini, potrei dire a oggi, nella quale Pound ha creduto di riconoscere se stesso nel senso che determinando, dando un suo luogo, a tutte le forze che hanno contribuito a creare lui individuo, gli e sembrato di riconoscere nelle forze che lo hanno determinato, se stesso. I Cantos sono, per me, soprattutto questa ricerca di sé, individuo immenso in una determinata cultura, con determinate origini, con determinate manifestazioni.

            Non per nulla W.B.Yeats ebbe a dire che leggere Pound dà l’impressione di leggere un capolavoro greco sconosciuto : cioè lo ha definito traduttore anche là dove non traduce.

            Credo che nel panorama della letteratura americana il suo antecedente letterario più evidente sia Walth Witman,il quale ad un certo momento fece una sorta di dichiarazione di indipendenza intellettuale dell’America.

            Solo che E. Pound ebbe l’impressione che le radici culturali di Witman non fossero sufficienti. Di qui il suo espatrio verso l’Europa, alla ricerca di una letteratura europea contemporanea nella quale inserirsi e dalla quale derivare spunti e motivi.

            La cultura americana si era innestata nel vecchio tronco della letteratura inglese, e forse questo sembrava a Pound un humus non sufficientemente profondo. Bisogna andare più lontano di qui il suo espatrio, di qui il suo interesse per i primi segni di cultura letteraria europea.         

            “Non mangiare nel mondo sotterraneo
            bada che il sole e la luna benedicano il tuo pasto
            core,core,per i sei semi di un errore
            e che le stelle benedicano il tuo pasto

            O Lince, fa la guardia a quest’ orto,
            evita il solco di Demetra
            questo frutto chiude in sé un fuoco,
            Pomona, Pomona,
            non c’è vetro più chiaro dei globi di questa fiamma
            quale mare è più chiaro del corpo del melograna
            che racchiude la fiamma?
            Pomona, Pomona
            Lince, fa la guardia a quest’orto
            Che ha nome Melograna
            o il campo dei melograni.
            Il mare non è d’azzurro più chiaro
            né Eliadi che recano luce
            Ecco le Linci. Ecco le Linci,
            c’è un suono nella foresta di pardo o di bassaride
            o di crotalo o di foglie che s’agitano?
            Cythera, ecco le linci
            il guerciolo eromperà in fiore?
            C’è una rosa canina in questo sotto bosco.
            Rossa? Bianca? No, ma di un colore intermedio.
            Quando la melograna è schiusa e la luce cade
            a mezzo entro di essa
            Lince, bade a queste spine di rampicante.
            O Lince, Glaucopis che salì dai terrazzi di
            ulivi,
            Kuthera, ecco le linci e il tinnire dei crotali
            c’è un ribollio di polvere dalle foglie vecchie
            vuoi barattare le rose con le ghiande
            mangeranno le linci foglie di biancospino?

            Qualcuno (forse Joyce o Montale) ha definito Pound il poeta della civiltà atomica, il più grande poeta di questa civiltà. Poeta di questo male cosmico.
Può esserci un arte ispirata all’odio? Penso che gran parte della letteratura sorge dall’odio; ma quanto c’è di sano è ciò che emerge dalle rovine.

Fu chiuso in un campo di concentramento presso Coltano (Pisa) nel 1945.

 “Formica solitaria d’un formicaio distrutto
dalle rovine d’Europa, ego scriptor”   ( canto LXXVI )

 Cominciò lì a scrivere i “Pisan Cantos” forse le sue poesie più belle.

 “Caldoforo  hep gatto o parola di volume uguale
   che siano riconosciute dal prigioniero maledetto o dannato.
   Micina, notturna che gironzoli, lascia
   in pace i miei duri quadrati
   non sono in alcun modo cibo per gatti
   se avessi un po’ di buon senso
   te ne verresti qui all’ora dei pasti
   quando la carne è sovrabbondante
   tu non puoi mangiare né il manoscritto
   né Confucio
   neppure le scritture ebraiche
    ...
   esci da quella cassa di prosciutto
   contratto W, il oh oh 9 oh
   usato adesso come guardaroba
   ex peso lordo 53 libbre
   la penna dell’eucaliptus a muso di gatto
   e dove non puoi giungervi”.  (canto LXXX )

   Ricondotto in patria, fu processato, Una perizia psichiatrica lo dichiarò malato di mente. Fu rinchiuso in una casa di salute.

   Nel 1949 i critici e i poeti d’America gli conferirono il premio “Bollingen” per i “Cantos Pisani” che si chiudono con questi due versi:

“Se la brina afferra la tua tenda
renderai grazie che la notte è consumata”.  ( canto LXXXLV )

            Io credo che la poesia di Pound assomiglia molto alla vita. Sembrano discorsi fatti tra persone intelligenti. E i discorsi che si fanno tra persone intelligenti seguono una curva un poco causale, con dei momenti altissimi e dei momenti grigi.

La poesia di Pound è enormemente vasta. Ma ad una prima impressione però; leggendola meglio, tutti gli elementi che la rendono vastissima, in un certo senso si riducono. Per esempio un lettore come me che non conosce la letteratura cinese, tutte le citazioni cinesi diventano come dei “fatus vocis”, che si riducono ad un unico elemento. E così tutti i richiami ai poeti provenzali o italiani del dolce stil-novo.
Cosicché mentre in principio questa poesia sembra vastissima territorialmente, un po’ alla volta, approfondendo, più che vasta diventa profonda. Non so come dire: invece di immaginarla, espandersi in un enorme territorio linguistico la vedo come in fondo ad un pozzo, in cui ha ridotto il mondo a pochi elementi, in fondo: cioè ad un gruppo di citazioni che sono sempre le stesse; a un gruppo di amici che sono sempre gli stessi: Yeats, Eliot,ecc.

Cioè vedo Pound in fondo a un ristrettissimo pozzo, in cui ripensa, ricorda continuamente la sua vita.

 “Tard, très tard je t’ai connu, 
la tristesse !
Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità.
La formica è un centauro nel suo mondo di draghi
strappa da te la vanità, non fu l’uomo
a creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,
 strappa da te la vanità, ti dico strappala
 impara dal mondo verde quale sia  il tuo luogo
 nella misura dell’invenzione o
 nella vera abilità dell’artefice
dominati e gli altri ti sopporteranno
sei un cane bastonato sotto la grandine,
una pica rigonfia in uno spasimo di sole
 metà nero, metà bianco
né distingui un’ala da una coda
strappa da te la vanità
come sono meschini i tuoi rancori
 nutriti di falsità
avido di distruggere, avaro di carità,
strappa da te la vanità
 
ti dico strappala
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità
avere, con discrezione, bussato
avere raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata
 questa non è vanità.
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto,
nella diffidenza che fece esitare”.       (canti pisani)


“Il vecchio Ez ripiegò le coperte
né Eos né Espero hanno subito alcun torto
dalle mie mani”.  ( canto LXXIX )

            Un uomo su cui il sole è tramontato.

          


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