La leggenda di Suor Maria Cecilia


Prefazione

Chi si prenderà il fastidio di leggere le pagine che seguono, alla fine si domanderà: che non sia una storia vera? Anch’io, quando mastro Giuseppe Marrapodi – nonno paterno del professore Giuseppe Marrapodi - me la raccontò, mi sono rivolto la stessa domanda ma, purtroppo, non potei dare una risposta affermativa perché, della leggenda, non ci resta nessun documento scritto.

     Mastro Giuseppe Marrapodi, uomo buono e pio, che fu sagrestano della nostra Chiesa, quasi ininterrottamente, dal 1870 al 1919, anche lui l’ha sentita raccontare. Come e perché me la raccontò lo dirò nel primo paragrafo. Una sola cosa è certa: i personaggi sono realmente esistiti. Il marchese Sigismondo Loffredo, come narra la “Cronistoria” della Diocesi di Gerace del canonico Antonio Oppedisano, nel 1590, sulle rovine dell’antica Potomia, fondò il paese di San Luca e lo chiamò così perché lo inaugurò il 18 ottobre 1592, festa dell’Evangelista San Luca. Di Suor Maria Cecilia, che la leggenda vuol figlia di Sigismondo, abbiamo scoperto la tomba tra le rovine del convento dei Riformati. Un personaggio pure esistito è il marito della protagonista che la leggenda chiama “Fabricis, signore di un castello vicino”.

Siccome al personaggio principale bisognava dare un volto e un nome, ho scelto  il nome del Marchese Fabrizio Caraffa, Signore di Caulonia che – quando Sigismondo fondò San Luca – fondò una cittadina a cui diede il proprio nome: Fabrizio- Così ho cercato di colmare una lacuna per dare ordine alla narrazione della leggenda stessa. E’ tutto qui. In me non c’è nessuna pretesa di pubblicare la leggenda – sarebbe troppa presunzione la mia – ma solo desidero di lasciarla negli ordini della mia Parrocchia perché resti ad ammirazione ed edificazione di chi vorrà leggerla.

 

Due parole sul Convento

       Due chilometri circa fuori di Bovalino, sulla strada nazionale che va verso Benestare, esisteva  anticamente il Convento dei Riformati sotto il titolo di Santa Maria di Gesù, o Santa Maria della Consolazione. Su questo convento si hanno pochissime notizie che si trovano negli archivi della curia vescovile di Gerace-Locri. Il canonico Oppedisano nella “Cronistoria della Diocesi di Gerace” così scrive: «Alcuni – come asserisce il Fiore – vogliono che sia stato costruito nel 1602 a spese di mercanti genovesi, i quali correndo fortuna in quei mari, fecero voto che venuti a terra a salvamento fabbricassero un monastero. Papa Giulio 2°, in una sua bolla del 1508 dice che lo fabbricò Tommaso Merola. Forse che egli fu il principale di quei mercanti» Nella chiesa del Convento si conservava la rinomata immagine dell’Epifania di N.S.G. dipinta dal Reni e poi trasportata nel Museo Borbonico di Napoli, come risulta dal bollario del vescovo Pellicano. Il convento fu soppresso durante l’occupazione francese nel 1810, ripristinato in seguito, fu definitivamente abolito nel 1866. La Chiesa rimase aperta al culto e si continuò la celebrazione dei divini uffici, finchè a causa del terremoto del 1908, che la rese pericolante, fu completamente abbandonata. L’altare maggiore in legno intarsiato, attualmente si trova nella chiesa matrice ed è dedicato all’Immacolata.

       Quando il canonico Oppedisano dice che il Convento nel 1908 venne completamente  abbandonato non è esatto. Dopo il terremoto si chiuse è vero, però, per diversi anni si ritornò tre volte l’anno per celebrare i divini uffici, in queste occasioni: il 4 ottobre festa di San Francesco d’Assisi, l’11 agosto festa di Santa Chiara fondatrice del secondo ordine francescano ed il 2 agosto festa del “Perdono d’Assisi” o, come noi la chiamavamo, festa della “Porziuncola”. Questa festa era sempre preceduta da un triduo che si chiudeva con messa solenne e panegirico recitato da uno dei migliori predicatori che esistevano in diocesi e così si continuò fino a che il tetto del Convento crollò del tutto, e ciò avvenne verso il 1919. Nel 1925, per interessamento del parroco del tempo don Saverio Pelle di San Nicola d’Ardore, si costruì alla meglio, una piccola cappelletta e si celebrò quell’anno la festa della “Porziuncola”, come pure nel 1926. Quell’anno – la ricorrenza del settimo centenario della morte di San Francesco – si celebrò più solennemente con triduo predicato dal canonico decano della cattedrale di Gerace, monsignor Giuseppe Furfaro. Nell’inverno del 1927 anche la cappella crollò e questa volta fu davvero definitivamente abbandonato.