La leggenda di Suor Maria Cecilia


 

                                                                                                                         Capitolo 12  -  13  - 14  - 15  - 16 - 17  - 18  - 19  - 20

 Capitolo 11

     I l marchese quel giorno tornò dalla visita al monastero assai triste e preoccupato. Il colloquio avuto con la superiora non gli era piaciuto; pensava egli che le  parola della suora erano delle battute che servivano a prepararlo per quando la sua figliola gli avrebbe chiesto il permesso di entrare nel monastero.La sera a cena toccò appena cibo, più per fare piacere a Teresa che per il desiderio di mangiare. Terminata la cena prese un libro, sedette sopra una poltrona, lo sfogliò distrattamente e poi fumò mezzo sigaro e si ritirò dicendo a Teresa che non stava bene. Teresa comprese che era accaduto qualche cosa, però, visto lo stato del marchese non gli chiese nulla, però lei per tutta la notte non dormì facendo mille confetture una più strana dell’altra. La mattina dopo, a colazione, vedendo che il marchese era più calmo gli domandò come stava e gli chiese anche il motivo perché la sera prima era così preoccupato. Il marchese le riferì – parola per parola il colloquio avuto con la superiora e Teresa – dopo averlo ascoltato lo calmò dicendogli :- Vostra eccellenza mi perdoni ma mi permetta dirle che si preoccupa inutilmente. Innanzi tutto prima che Cecilia entri nella maggiore età dovranno passare, se non mi sbaglio, dodici anni e poi lei come fa ad essere certo che Cecilia, giunta a quell’età, entri nel monastero? Il marchese rispose :- Teresa le tue osservazioni sono giuste ma io vedendola troppo affezionata a quella suora e alla loro vita religiosa, o le mie buone ragioni per preoccuparmi. - E Teresa di rimando:- Vostra eccellenza ha forse dimenticato quanto era buona la signora marchesa e quanto affezionata alle pie pratiche di religione? Quindi nulla di straordinario se la piccola Cecilia è buona e religiosa come la mamma. Il marchese alle parole di Teresa respirò tranquillamente come sollevato da un grande peso e disse:- Hai ragione, non pensiamoci più. A suo tempo se Cecilia domanderà di entrare in religione, non lo permetteremo. Ad ogni modo si trova il rimedio. 

 

Capitolo 12

     P assarono i giorni, i mesi, gli anni, e in tutto questo tempo né al castello, né al monastero dove stanno Cecilia e Marina, accaddero fatti degni di nota. A questo punto della nostra narrazione, Cecilia ha sedici anni e Marina quattro mesi di più.Il marchese Sigismondo è contento in cuor suo ringrazia Teresa che ha saputo tranquillizzarlo circa l’avvenire di Cecilia; ha saputo cioè renderlo quasi sicuro che la sua figliola non si farà suora. Non che il marchese non sia un buon cattolico, tutt’altro, non che egli non ami gli ordini religiosi in genere e le suore in particolare anzi di questo spesso ne è l’occulto benefattore e cioè in ossequio al precetto evangelico < non sappia la sua sinistra quel che fa la sua destra >. Delle religiose ne è entusiasta, ammira il loro sacrificio. La loro abnegazione, ma che sua figlia sia una di loro non se la sente. Perché non se la sente? Il motivo c’è: Troppo presto ha perduto la sua moglie e anche se Teresa ha fatto tanto nel grande castello, si è sentito solo completamente solo. Ora la sua Cecilia vuole godersela il più lungamente possibile e quando si sposerà chiederà al genero che si faccia tutta una famiglia e se questo non sarà possibile andrà lui a stare con loro.Un giorno < e una sera di settembre e Cecilia e Marina sono da poco ritornati al monastero perché finita le vacanze estive > al marchese è venuto un dubbio: - E se cecilia per farsi suora aspetterà di divenire maggiorenne e poi si chiuderà nel monastero ? Tutta la notte non ha dormito, la mattina si alza per tempo, fa sellare il cavallo e parte per Gerace. Arriva che ancora le suore e le educande sono in chiesa per la messa. Aspetta che le funzioni finiscano e poi si fa annunziare alla superiora che ne rimane meravigliata dato che due giorni prima era andato per la visita consueta. La superiora lo riceve in parlatorio e appena la vede dopo averla salutata, le rivolge, quasi a bruciapelo, questa domanda : - Superiora, che ne pensa di mia figlia ? Si farà suora ? La superiora risponde :- Signor marchese, non so se debbo rispondere al padre o all’uomo curioso che vuole sapere i fatti degli altri, in ogni modo m’ingegnerò per la carica che indegnamente rivesto di rispondere all’uno e all’altro: - Io non so se Cecilia ha la vocazione, però ciò che io sento, avvicinandola è ciò che d’ordinario si sente vicino a una persona santa che in tutto sembra di comunicare con Dio. Cecilia ha un portamento sempre serio, modesto e amabile che sembra tradurre la presenza di Dio in tutte i suoi atti com’è proprio delle persone già avanzate in età e di grande virtù.

A quelle parole il marchese non vuol sapere di più e si ritira quasi senza salutare. 

 

Capitolo 13

     I l marchese, dopo il colloquio con la superiora ritornò al castello di cattivo umore. Teresa se ne accorse e quando fu possibile gli rivolse timidamente una domanda : Signor marchese, che cosa c’è, che cosa succede ? Non c’è niente, non è successo niente, è successo che io sono rimasto solo, mia figlia non mi ama più ! Teresa, meravigliata insistette per sapere di che si trattava, ed il marchese le riferì il colloquio avuto con la superiora. Teresa come meglio potè e seppe, lo tranquillizzò avvicinandolo ancora una volta, che Cecilia non si sarebbe fatta suora.

Come conclusione il marchese disse :- domani, o al più tardi dopodomani l’altro, ritornerò al monastero e mi condurrò a casa le ragazze. Teresa lo calmò dicendogli :- Ormai il nuovo anno scolastico è ricominciato, si è sempre detto che avremmo lasciato le ragazze in monastero fino all’età di diciotto anni. Hanno appena sedici, facciamo finire loro questo anno scolastico e quando verranno a casa per le vacanze non li faremo più ritornare. Il marchese :- Ascolto il suo consiglio, però quando ritornerò al monastero per la visita che faccio ogni mese dirò, sia alla superiora che alle ragazze, che fino alla fine di quest’anno scolastico non ritornerò più nemmeno per le visite e si domanderanno il perché accamperò una scusa qualsiasi.

Circa un mese più tardi il marchese ritornò al monastero per la visita consueta. Arrivò che era ancora presto , attese che terminassero le funzioni e poi suonò alla porta. Alla portinaia che venne ad aprire di avvertire la superiora che desiderava parlarle. La portinaia tornò pochi minuti dopo annunziandogli che la superiora era già in parlatorio pronta a riceverlo. Il marchese entrò e la trovò dietro la grata ad attenderlo. Il marchese entrando, sedette alla sedia vicina alla grata e così parlò:- Reverenda Superiora questa mattina, oltre che per la visita consueta alle ragazze sono venuto per dire alla maternità vostra che questa è l’ultima visita che faccio al monastero per quest'anno, gravi impegni mi trattengono fuori, dovrò recarmi a Napoli forse anche a Roma e non so quando sarà il mio ritorno. Tornerò qui alla fine dell’anno scolastico per prendere le ragazze e per portarle al monastero     un dono un segno di gratitudine e di riconoscenza verso la maternità vostra e le reverende suore per il bene che avete fatto alle mie ragazze tengo a dirle che, dopo le vacanze non torneranno più . In un primo tempo avevo deciso di lasciarle fino al diciannovesimo anno di età ma oggi, impegni di famiglia m’impongono di fare diversamente. Porterò le ragazze a casa sicuro che ormai hanno imparato tutto ciò che deve sapere una ragazza di alto rango e tutto ciò deve sapere una figlia. Come la mia che dalla fine di quest’ anno in poi deve fare anche la mamma di famiglia. Il perché la maternità vostra li sa. La superiora rispose: Signor marchese ognuno ha i suoi impegni, ognuno ( come vostra Signoria ) quando prende una decisione sa quello che fa. Se le ragazze andranno via sarà certo per motivi gravi e quindi ne io, ne le suore ci possiamo imporre per dire alla vostra Signoria di fare diversamente di quello che ha deciso, le ragazze partendo, lasceranno nel monastero e nel cuore un gran vuoto in ogni modo anch’io, come Gesù, rassegnata dirò:- Signore, che la vostra volontà si faccia ! _ Adesso, allontanandomi di qui avvertirò le ragazze della vostra visita. Salutò con un cenno della mano e disparve. Pochi minuti dopo apparvero Cecilia e Marina, non dietro la grata, tenendosi per mano, entrarono da una porta nascosta dietro una tenda. Sedettero guardando il marchese ed attesero che parlasse. Egli rivolgendosi a Cecilia disse:- Come va che ne tu e ne Marina, vedendomi, non correte ad abbracciarmi ?- Cecilia rispose :- Temevamo che sei di cattivo umore! Il marchese disse:- Da che potete arguire questo ?- Marina e Cecilia, tutte e due insieme risposero:- Ci bastò guardare la superiora quando ci annunciò la tua venuta e il desiderio di vederci. Il marchese sorrise e disse :- Aveva ragione la superiora, di essere preoccupata, le annunziai – fra l’altro – che è questa l’ultima visita che faccio quest’anno al monastero e che alla fine del presente anno scolastico ( venendo a casa per le vacanze ) non tornerete più qui. Le due ragazze, a questo annuncio, allibirono e Cecilia, dopo qualche istante, con voce tremante:- E perché papà ? Il marchese rispose : Il perché lo saprete quando sarete rientrate; per ora vi ho semplicemente avvertite di modo che alla fine dell’anno, l’annuncio che dovrete lasciare il monastero, non sia per voi una sorpresa. Le ragazze si guardarono e i loro occhi si riempirono di lacrime. Avevano compreso – Specie Cecilia che la felicità per loro era finita. Lo abbiamo detto prima: Non erano ragazze come tutte le altre e per loro l’uscita dal monastero rappresentava una grande pena, moralmente il loro cuore era ferito, di una ferita che difficilmente si sarebbe rimarginata, almeno per lungo spazio di tempo.

 

Capitolo 14

     L ’indomani della visita del marchese Cecilia e Marina chiesero di essere dispensati della ricreazione e ( quel tempo che le altre ragazze lo trascorrevano a giocare ) si ritirarono in cappella e dopo una lunga preghiera parlarono intorno alla repentina decisione del marchese di toglirle, con quasi due anni di anticipo, dal monastero. Cecilia disse :- Marina, il perché papà ha preso questa decisione, te lo dico io : Egli ha compreso che desidero abbracciare lo stato religioso e per punirmi ci toglie dal monastero prima del tempo che aveva stabilito. Marina rispose e con ciò che pensa di fare ? Non sa che tu, una volta maggiorenne, potresti agire anche senza del suo permesso? Lo potrei disse Cecilia- Ma non lo farò, lo dico a te, non oso senza il suo permesso, non oso oppormi alla sua volontà. Domani, o forse oggi stesso, domanderò consiglio al nostro padre spirituale, oppure alla madre superiora e forò come loro mi diranno. Il giorno seguente – nel tempo della ricreazione- Cecilia chiese di parlare alla superiora e questa la ricevette nella sua cella. Cecilia, appena giunta, s’inginocchiò e pose il capo sulle sue ginocchia e cominciò a piangere dirottamente. La superiora la calmò e le chiese cosa desiderava. Cecilia, piangendo e interrompendosi diverse volte incominciò :- Reverenda madre anche se non mi sono spiegata anche se ancora non ho detto nulla, lei credo, mi ha compreso che desidero abbracciare lo stato religioso, desidero vestire l’abito delle suore Clarisse per servire Dio più perfettamente e mio padre si oppone. Si è accorto anche lui della mia decisione e vuol togliermi da questo santo luogo circa due anni prima del tempo che aveva stabilito. Cosa farò ? Cosa sarà di me? Attendere la maggiore età e farlo nonostante il suo divieto non posso, assolutamente non posso, mi sembra che l’ucciderei povero babbo ed allora quale rimorso, quale strazio per il mio cuore ! La superiora, dopo attimi di riflessione rispose:- Calmati figliola, abbi pazienza, prega e il resto lascia fare al Signore, se egli ti vuole sua saprà appianare le vie, togliere gli ostacoli e far sì che tutto proceda secondo i tuoi desideri ; altrimenti farai la sua volontà. Se tuo padre ha disposto diversamente, tu non potrai opporti e quindi vivrai nel mondo senza essere del mondo. - Cecilia, dopo avere ascoltato in silenzio, con deferenza e rispetto le parole della superiora, così rispose :- reverenda madre io, per quanto grande peccatrice non mi sono mai opposta alla volontà del Signore. Da lungo tempo e con insistente preghiere chiedo al Signore la grazia di essere sua: All’età di nove anni, il giorno dell’Assunta, mi sono consacrata al Signore e così lo scorso anno. Chiedendo l’aiuto e le preghiere della maternità vostra per raggiungere lo scopo. Rispose la superiora :- Non dubitare figliola, per quando dipende da me avrai l’uno e l’altro. Si lasciarono. La superiora lasciò Cecilia e questa si recò a scuola.

 

Capitolo 15

     I l giorno dopo- in tempo di ricreazione Cecilia chiese di nuovo alla superiora un colloquio che questa accordò con piacere. Si rividero nella cella ; questa sedette e Cecilia s’inginocchiò davanti ponendo, con molta familiarità le mani sulle sue ginocchia. La superiora disse :- Parla figliola ti ascolto. Cecilia incominciò – reverenda madre, visto che il tempo che debbo restare in questo santo luogo è breve, mi permetto domandarle sua grazia- la superiora rispose:- Parla, mia cara figliola, e ti assicuro che quanto domanderai ti sarà accordato. Cecilia con voce tremante disse:- Da domani desidero non dormire più nel dormitorio comune, mi assegni una cella e là dormirò, non si meravigli della mia richiesta; desidero alzarmi durante la notte per pregare, per far penitenza, per piangere i miei peccati, cosa questa che nel dormitorio comune non potrei fare. La superiora a quelle parole, alzò gli occhi al cielo, pregò brevemente e i suoi occhi si riempirono di lacrime, nella sua preghiera avrà detto :- Signore, se questa figliola si dichiara peccatrice, io che cosa dovrò dire ? Abbi pietà di me Signore ! Poi volgendosi a Cecilia disse:- figliola penso i non poterti accontentare, in quanto come sai celle vuote non ce ne sono Cecilia rispose:- Eppure ce ne una che se vorrà me la potrà dare- La superiora rispose:- E questa Cecilia mia? E’ Cecilia a sua volta:- La cella che è in fondo al corridoio, < la cella della penitenza >. A quelle parole la superiora rabbrividì perché si trattava di una cella in cui venivano suore in punizione, quelle suore che facevano qualche mancanza. La cella in parola era angusta, nuda e fredda anche d’estate e riceveva luce da una piccola finestra praticata praticata all’altezza del soffitto e munita da grossa inferriata. Il mobilio si componeva dal letto formato da quattro assi, due tavole con su un pagliericcio quasi vuoto e senza guanciale; un inginocchiatoio, una sedia e un grande crocifisso; attorno alle pareti c’erano appesi pezzi di corda fatti a nodi dalla lunghezza dai venti ai trenta centimetri, str8iscia di cuoio con all’estremità pallottoline e uncini di ferro. Con questi strumenti di penitenza quelle suore che si sentivano colpevoli si flagellavano volendo espiare così le loro colpe. Cecilia restò sempre inginocchiata davanti alla superiora – in attesa di una risposta che questa diede dopo lunga riflessione: Ebbene figliola, ti darò la cella che mi chiedi a due condizioni: Che ti trasporti là il tuo lettino e che fai dormire con te anche Marina. Cecilia disse:- Ancora non ho messo Marina a parte del mio proposito, glielo dirò uscendo di qua penso però che Marina non accetterà in quanto ogni volta che passa davanti a quella cella, sia che la porta sia chiusa, sia che sia aperta passa scappando. La superiora disse :- Ebbene figliola avrai la cella senza di Marina, voglio farti contenta però – e qui t’impongo l’ubbidienza, non farò nessuna penitenza senza il permesso del nostro direttore spirituale e, in mancanza di esso, senza il mio permesso. - Cecilia accettò le condizioni imposte e si lasciarono. Il giorno dopo la superiora si recò dal rettore delle educande e prima che esse cominciassero a mangiare comunicò a tutte che finito l’anno scolastico in corso Cecilia e Marina non sarebbero tornati più perché il marchese aveva deciso di ritirarle . Allora cominciarono i pianti e le proteste, perché ciò? Perché tutte amavano Cecilia e Marina e quella notizia nessuno se l’aspettava. La superiora attese che si fossero un po’ calmate e poi rivolta a Cecilia e a Marina, disse:- Ragazze voi due andate un po’ in cappella a pregare perché devo dire alle altre cose che voi non potete sapere, quando vi chiamerò tornerete. Cecilia e Marina lasciarono la mano della superiora e si ritirarono, un po’ tristi e un po’ curiosi, avrebbero voluto sentire ciò che la superiora avrebbe detto alle loro compagne. Quando esse se ne furono andate la superiora disse:- Vi dirò adesso che Cecilia e Marina non ci sono, il motivo dell’allontanamento di queste due figliole. Il marchese papà di Cecilia si è accorto che la sua figliola intende abbracciare lo stato religioso e ciò a lui non piace. Per questo motivo le allontana dal nostro monastero quasi due anni prima del tempo stabilito. Ho voluto comunicarvelo perché desidero per il giorno della loro partenza, organizzare una festicciola naturalmente con il vostro contributo. Certamente il marchese quando verrà a prenderle verrà con la signora Teresa e con la sua carrozza, noi facciamo che la carrozza se ne torni a Bovalino e li tratterremo qui tutta la giornata: Mi approvate? Tutta batterono le mani approvando. La superiora suonò il campanello e Cecilia e Marina rientrarono nel refettorio. Tutto il tempo che stettero in cappella Cecilia manifestò a Marina il suo desiderio di volere per tutto il tempo che restavano in monastero abitare < la cella della penitenza > e la pregò nel caso che veniva interpellata dalla superiora, di dire che lei non aveva nessuna intenzione di dormire in quella cella. Marina l’abbracciò dicendole :- Cecilia ti comprendo e ti accontenterò. Si abbracciarono di nuovo e così stettero per lungo tempo. La sera stessa Cecilia dopo aver fatto trasportare il letto, nella cella delle penitenze.

 

Capitolo 16

     C ecilia il giorno dopo la visita del padre e dopo il colloquio con la superiora- come dicemmo nel capitolo precedente- si stabilì nella  < cella della penitenza > e, tutte le volte che usciva, aveva cura di portare con sé la chiave di modo che nessuno indiscreto potesse penetrare nel suo rifugio. Passava buona parte della notte in preghiera e quando, stanca e sfinita cercava un po’ di riposo si gettava sul letto della cella. Secondo gli ordini della superiora, chiese al padre spirituale il permesso di fare un po’ di penitenza, gli chiese il permesso di flagellarsi ma questo – com’era da prevedersi – glielo negò. Cecilia così lo pregò :- Reverendissimo padre, vi chiedo di fare penitenza perché desidero piangere le mie colpe. Non meravigliatevi se dico così; se mio padre mi nega il permesso di farmi suora vuol dire che io non ne sono degna, mi rassegno alla volontà di Dio, però non mi do per vinta. Mediante le preghiere e la penitenza e mediante l’intercezione della Madonna voglio chiedere a Gesù questa grazia; permettetemi perciò di flagellarmi, se non più, almeno due volte alla settimana. Tanto disse e tanto pregò che il confessore fu vinto. Le permise di flagellarsi però soltanto con la corda a nodi, doveva darsi dieci colpi – cinque da una spalla e cinque dall’altra. Se poi la sua pietà voleva far di più poteva battersi fino a quando vedeva spuntare le prime gocce di sangue. Lasciamo immaginare la gioia e la felicità di Cecilia. Come dicemmo passava buona parte della notte in preghiera e senza fare uso dell’inginocchiatoio si prostrava sul nudo pavimento, si denudava le spalle e si batteva a sangue, la smetteva solo quando cadeva a terra estenuata di forze. Durante le battiture diceva:- Signore abbi pietà di me, perdona le mie colpe fammi tua o fammi morire, se puoi comandi altrimenti, che la tua volontà sia fatta! Del suo sangue verginale si spruzzavano le pareti e il pavimento eppure Cecilia era sempre ilare, sempre allegra la mattina si alzava un’ora prima che suonasse la campanella della sveglia quando si entrava in cappella per le preghiere era la prima ad arrivare l’ultima ad andarsene. Come Cecilia aveva previsto, un giorno dopo la messa la superiora chiamò Marina e le riferì parte del colloquio avuto con Cecilia e poi concluse pregandola di andare a dormire con lei nella cella della penitenza. A queste parole della superiora Marina arretrò di qualche passo e poi si fece il segno della croce – dopo un attimo di silenzio disse:- Se lei reverenda madre me lo comanda per fare ubbidienza ci vado altrimenti di mia volontà no. Cecilia certamente, per andare ad abitare quella cella o è pazza oppure è una santa, felice lei che sente di starci!- La superiora sorrise e la congedò. Marina quando fu sola disse:- Meno male che ho saputo cavarmela, se stavo altri cinque minuti con la superiora ci sarei caduta ed allora?

 

Capitolo 17

     L ’anno scolastico finì presto.

L’ultima domenica di giugno alle nove in punto la carrozza del marchese Sigismondo era ferma alla porta del monastero; vi scese il marchese, la signora Teresa e un cameriere con una grossa valigia. Nel monastero spirava aria di lutto: le suore la superiora compresa e le educande erano tristi, addolorati e il perché si comprende; Cecilia e Marina avrebbero lasciato il monastero per non più ritornare. Quando il marchese suonò alla porta, questa si aprì immediatamente e i nostri tre personaggi furono ricevuti dalla superiora in persona, la quale li fece entrare nella sala del capitolo addobbata a festa. Più tardi comparvero Cecilia e Marina, venivano tenendosi per mano, non erano però contenti, sul loro volto si leggeva la mestizia si notava che da poco avevano finito di piangere. Appena giunte baciarono la mano al marchese e abbracciarono con trasporto veramente filiale Teresa. Il marchese non fu contento, attendeva qualche cosa di più, sperava che sua figlia l’avesse abbracciato come faceva in altri tempi, ma non fu così.

Il marchese ringraziò la superiora di quanto aveva fatto per la sue figliole e in segno di gratitudine verso  lei e tutto il monastero presentò il dono che aveva promesso: si trattava di un parato completo in broccato d’oro che si sarebbe dovuto usare nelle grande solennità, quando cioè nel monastero si celebrava la messa in terzo. La superiora, a sua volta, annunciò il dono ringraziando il marchese del pensiero e aggiungendo che si sarebbe usato quel giorno stesso in quanto si era già pensato di celebrare una messa solenne, dato che Cecilia e Marina non sarebbero tornati più, tutta la religiosa famiglia: suore ed educande volevano salutarle per l’ultima volta ascoltando insieme la messa, facendo la Comunione, trattenendosi tutti a pranzo e poi trascorrendo insieme il resto della giornata. Il marchese accettò l’invito e con lui Teresa, per il cocchiere si era provveduto anticipatamente che si sarebbe fermato in un albergo a spese del monastero e poi avrebbe avuto tutta la giornata di vacanza fino a l’ora della partenza dei suoi signori. All’ora della messa si trovarono tutti in cappella. Solo là spirava aria di festa. Il direttore spirituale del monastero – al Vangelo- pronunziò un elevato discorso di circostanze e quando –prima di finire- rivolgendosi a Cecilia e a Marina disse loro che si ricordassero delle belle giornate trascorse in quel luogo, che si ricordassero della superiora e delle maestre ed anche di lui, le due ragazze non poterono frenare il pianto. Alla fine del pranzo non mancarono i brindisi e gli auguri e la più grande delle educande pronunziò un discorso di occasione ed a nome di tutte presentò alle due partenti un dono: a Marina diede un rosario d’argento, a Cecilia un artistico crocifisso di ebano intarsiato d’avorio. Entrambi ringraziarono commosse. Trascorse la giornata a tarda sera il marchese, Teresa e le due ragazze lasciarono il monastero.

Prima d’allontanarsi Cecilia chiese il permesso di visitare per l’ultima volta la sua cella:- appena giunta si prostrò sul nudo pavimento, congiunse le mani e rivolta al grande crocifisso così disse:- < Addio mia piccola cella ove ho trascorso le ore più liete in compagnia di Gesù Re dei martiri e di Maria Regina delle Vergini ! Addio casa santa ove pensavo di finire i miei giorni, ma tu o Signore hai disposto diversamente, che la tua volontà sia fatta ! > Baciò il crocifisso, baciò l’immagine della Madonna ed il pavimento ove tante volte si era inginocchiata. Avrebbe voluto far scomparire le chiazze di sangue, del suo sangue, rimasto sulle parete della cella e sul pavimento ma non fu possibile. Chiuse in fretta la porta e consegnò la chiave alla superiora e poi piangendo – si allontanò di corsa e andò a raggiungere suo padre e Teresa che impazienti l’aspettavano.Arrivarono a Bovalino a tarda notte tanto che nessuno si accorse del loro ritorno ad eccezione del personale del castello.

 

Capitolo 18

     A ppena rientrata Cecilia e Marina baciarono la mano al marchese augurandogli la buona notte, abbracciarono Teresa e si ritirarono nella stanza per loro preparata. Il giorno dopo a colazione- Marina fece gran festa, si vedeva che era contenta di essere ritornata a casa, Cecilia no, toccò appena cibo, per non dispiacere papà e Teresa, e tutto il tempo che stettero a tavola rimase senza parlare. Il marchese lo notò e quando la colazione finì disse a Cecilia :- figliola si vede che non sei contenta di essere ritornata a casa, si vede che non sei contenta di trovarti presso papà e Teresa che ti amano tanto. Cecilia rispose :- Papà se debbo essere sincera, ti dico che non sono contenta, avrei voluto farmi suora, avrei voluto restare in quel santo luogo e servire il Signore vestendo le sacre lane del poverello d’Assisi. Tu me lo vieti, tu non vuoi dare il desiderato permesso e per questo sono triste. Non che io non ti ami, non che io non vorrei stare con te ma una forza superiora a me stessa mi dice che debbo servire Dio nel modo più perfetto. Papà non dirmi crudele, non dirmi che voglio entrare in monastero per il piacere di lasciarti solo, lo so quanto soffri, lo so quanto soffri tu stesso, ma in questo momento non sono io che parlo, ed è Dio che parla per la mia bocca. A che pro rifiutarmi il tuo permesso? Se io sposassi porterei il nome del marito, che non è il tuo nome, quindi tu lo sai che la nostra famiglia, con la tua morte, si spegnerà. Chissà che la povera mamma prima che io nascessi non avrà fatto voto di consacrarmi a Dio e, se così fosse, e se così fosse, perché non soddisfare il suo desiderio? Ti potrei dire che abbraccerò lo stato religioso – quando sarò maggiorenne anche senza del tuo permesso. Questo non lo farò, non voglio fare ciò che tu non vuoi, se mi rifiuti il permesso non sposerò nessuno, resterò in casa. Ti servirò con docilità e umiltà e quando da qui a cent’anni – non ci sarai più allora, libera di fare quel che mi piace, entrerò in un monastero e là finirò i miei giorni pregando ed espiando le mie colpe, pregando pace all’anima tua e quella della povera e cara mamma. Papà tutto ciò che volevo dirti te l’ho detto, tu stesso forse senza volerlo mi hai incoraggiata. A te la risposta. Il marchese che per tutto il discorso di Cecilia aveva taciuto fremendo, così rispose:- La mia risposta è breve; sei crudele, uccidi tuo padre prima del tempo che Dio ha stabilito di toglierlo di questo mondo, ma con me non la vinci. Da questa sera resterai prigioniera nella torretta del castello che guarda il mezzogiorno e uscirai di là quando tu vorrai. Mi spiego uscirai di là quando ti decidi a sposare l’uomo che ti chiederà in moglie dopo il tuo ingresso in società. Ritornati dal monastero ad eccezione della servitù nessuno ti ha visto; quindi nessuno saprà che sei prigioniera, scegli; o il matrimonio o la prigione. Cecilia abbassò la testa e piano rispose :- scelgo la prigione.

La sera stessa Teresa e Marina loro malgrado l’accompagnarono nella torre del castello,chiusero la porta e consegnarono la chiave al maggiordomo, il quale avrebbe dovuto consegnarla al marchese. Nell’ora in cui Cecilia entrò nella torre il marchese non c’era, si era allontanato di proposito. Nella torre c’era il letto, un comodino per la biancheria, un inginocchiatoio, due sedie un tavolino, pochi libri e un grande crocifisso appeso alla parete di fronte alla porta. Cecilia in quel luogo si sentì felice contenta; una sola cosa la rattristava, non poter ascoltare la messa e fare ogni giorno la Santa Comunione. Il resto per lei era indifferente: la cella del monastero e quella di casa era la stessa. La mattina dopo verso le otto Cecilia sentì chiudere la chiave alla porta pensando fosse suo padre si preparò a riceverlo. Quando la porta si aprì vide invece che era Marina e Teresa che le portarono la colazione. Marina le disse :- vedi dove ti ha portato la tua ostinazione. Il tuo povero babbo ieri sera pianse tutta la serata, andò a letto senza cena e noi con lui. Cecilia abbracciò Marina e pianse però rimase sempre nella posizione presa. O in monastero oppure non sarebbe uscita di là. Teresa le disse che il padre la sera prima aveva giurato che non avrebbe voluto più vederla fino a quando lei non avrebbe mandato a chiamare e che – a furia di preghiere – avevano ottenuto solo che Marina sarebbe stata la sua guardiana e che un’ora al giorno poteva stare in sua compagnia. E questo non basta rispose Cecilia. Stette un po’ insieme e si lasciarono. Marina le promise che si sarebbero visti per mezzogiorno o, al più tardi verso le ore tredici. In prigione Cecilia trascorreva le sue giornate lavorando e pregando: dopo quindici giorni desiderò vedere suo padre ma è rimasto soltanto un desiderio. Chiese a Dio nella preghiera che le avesse fatta questa grazia, altrimenti- se quella vita sarebbe durata ancora lei certamente non avrebbe vissuto troppo a lungo.      

 

Capitolo 19

     F in qui non abbiamo ancora detto che il marchese Sigismondo era un bravissimo cacciatore, che la caccia era la sua passione; teneva un servo apposta che avesse cura dei suoi cani. Non c’era partita di caccia – di grande o di piccola importanza- che lui non vi prendeva parte anzi spesso ne era l’organizzatore. Un giorno avvisò Teresa che partiva per una partita di caccia e non sapeva quando sarebbe ritornato aggiungendo:- di questo non dirai nulla a mia figlia. La mattina partì prestissimo due bracconieri gli portavano i cani. Giunti al luogo stabilito vi trovò molti cavalieri giunti prima di lui che appena lo videro lo ossequiarono colmandolo di cortesia. Pochi minuti dopo il suo arrivo la caccia iniziò e tutto procedeva bene e senza incidenti ad un tratto il marchese avvistò una lepre la seguì e si spinse fino all’orlo di un precipizio: due passi ancora sarebbe precipitato in un burrone profondissimo dove certamente avrebbe trovato la morte. Un cavaliere le gli stava vicino gettò il fucile a terra lo abbracciò e lesto lo allontanò dal pericolo. Il marchese per un momento non  comprese nulla, si rese conto del pericolo che aveva incontrato, qualche minuto dopo. Si voltò per vedere chi era stato il suo salvatore e vedendo l’uomo che lo aveva preso in braccio, retrocedette di due passi. Quell’uomo disse:- Signor marchese guardandomi retrocedete, ciò vuol dire che anche voi mi odiate, mi disprezzate, per il solo motivo che sono tanto brutto. No- rispose il marchese – retrocedo per guardarvi meglio, per imprimermi nella mente e nel cuore l’immagine dell’uomo che mi ha salvato la vita. Chi siete? Come vi chiamate? L’interpellato rispose:- mi chiamano il marchese Fabrizio e sono l’uomo più disgraziato della terra, disgraziato perché, solo per la mia bruttezza, tutti mi odiano tutti mi disprezzano. La natura mi è stata matrigna e che colpa ne ho io per questo? Il marchese Sigismondo lo abbracciò e gli disse :- Poco m’interessa se tutti vi odiano e vi disprezzano, io vi amo, in me avete trovato un padre e un fratello. Questa sera verrete con me a casa mia, sarete mio ospite finchè lo vorrete, riverserete con tutta libertà, le vostre angosce nel mio cuore e ci conforteremo a vicenda perché anch’io ho sofferto e soffro ancora e chissà se non dovrò soffrire sempre, forse fino alla fine della mia vita. L’uomo che aveva parlato al marchese era basso di statura, calvo, col naso grosso e rosso, con un occhio, quello sinistro che apriva e chiudeva continuamente e per finire con una piccola gobba sulle spalle. Teneva un sarto apposta che, con un’arte tutta speciale, gli cuciva i vestiti cercando di nascondere quel difetto. La sera – piuttosto tardi- tornarono al castello. Il marchese avvisò Teresa di comandare di preparare la stanza degli ospiti perché c’era un signore il quale sarebbe rimasto al castello per qualche settimana. In un ora o poco più, gli ordini del marchese furono puntualmente eseguiti. Per quella sera andarono a letto e non si parlò più. Il giorno seguente il marchese portò l’ospite a visitare i suoi feudi. Mentre passavano per il corridoio incontrarono Marina, la quale vedendolo cercava di tornare indietro ma non potè, si fermò e salutò il marchese. Questi le presentò il marchese Fabrizio dicendo che era un signore suo ospite e che si sarebbe fermato al castello per qualche settimana.Marina salutò e si allontanò. A mezzogiorno quando vide Cecilia ebbe la premura di narrarle l’incontro avuto e di descrivergli l’uomo incontrato. Cecilia ascoltò e non disse nulla, solo compianse l’uomo brutto. Senza sapere che era stato il salvatore di suo padre. La sera siccome faceva un gran caldo- dopo cena i due marchesi sedettero nel cortile del castello e precisamente sotto la finestra di Cecilia. Quella sera si compivano appunto tre mesi dacché Cecilia era prigioniera. Il marchese e il suo ospite parlarono di cose insignificanti però i loro discorsi si conversero sulla caccia. Ad un tratto il marchese Sigismondo desse a Fabrizio:- quando ho avuto la fortuna d’incontrarti mi hai promesso di narrarmi la tua storia, fallo ora. Fabrizio rispose :- la mia storia è breve è triste al tempo stesso: ho perduto mio padre quasi prima di conoscerlo e rimasi con la mamma e con numerosa servitù. Ero solo, e la mamma riservò su di me tutte le sue cure, tutto il suo amore ma ero brutto e lei poverina non poteva farmi bello. Quando avevo venti anni perdetti anche la mamma e rimasi assolutamente solo, padrone di un castello e di molte ricchezze, Volevo accasarmi e nessuno mi volle appunto per la mia bruttezza, le ragazze quando m’incontravano si facevano il segno della croce e scappavano, gli uomini anche miei coetanei e quelli che chiamavo amici mi tenevano a distanza. Nella mia vita non ho fatto altro che bene, consumai parte delle mie ricchezze a pro delle opere pie e ciò nonostante sono sempre odiato. Sigismondo lo ascoltava con molto interesse e Fabrizio parlava interrompendo spesso il discorso perché il pianto non gli permetteva di parlare.

Che cosa faceva intanto Cecilia nella sua prigione? Quella sera si sentiva male, si sentiva più triste del solito e pur non di meno non si decideva ad andare a letto: Ad un tratto sentì piangere, tirò il letto verso la finestra, sul letto vi mise il tavolino e con l’aiuto di una sedia salì sulla finestra. La serata era bella, splendeva nel cielo la luna quindi Cecilia poté vedere suo padre in compagnia dell’altro uomo. Arrivò sulla finestra proprio in quel momento che il marchese Fabrizio diceva di avere perduto la mamma all’età di venti anni. Ascoltò tutto il resto del discorso e poi riscese. Mise le cose apposto, preparò la lampada per la notte, recitò le ultime preghiere e si ricoricò.

Si coricò ma non dormì, pensò all’uomo infelice, pensò all’uomo bisognoso di conforto, bisognoso di pace, bisognoso di felicità. Aveva quasi trent’anni e nella sua vita non aveva fatto altro che soffrire anche se aveva speso i suoi soldi e il suo tempo in opere di bene. Cecilia si disse: perché quell’uomo deve essere infelice? Non potrei sposarlo io e quindi fare la sua felicità? E la mia purezza? E la promessa fatta a Dio? Ebbene lo sposerò e poi – se il Signore mi aiuterà lo convincerò a volermi bene e trattarmi come una figlia o- se più gli piace – come una sorella e niente più. Lo sposerò e il Signore farà il resto. Fatta questa decisione si addormentò. La mattina si svegliò per tempissimo, fece la pulizia, pregò più a lungo del solito e attese la venuta di Marina. Questa come se comprendesse che Cecilia l’attendeva – quel mattino arrivò più presto del solito: fecero colazione insieme, chiacchierarono, Cecilia domandò notizie di suo padre e Marina gli disse che era uscito per tempo insieme insieme < a quel signore > nel dire quel signore Marina marcò le parole sorridendo e poi disse : - son quasi le nove e ancora non sono ritornati. Cecilia non le disse che aveva ascoltato la sera prima e, quando stava per andarsene la pregò di portarle l’occorrente per scrivere. Marina ritornò di lì a poco portandole quanto aveva chiesto, stette con lei altri pochi minuti e poi si allontanò adducendo la scusa che aveva da fare. Quando chiuse la porta e Cecilia si trovò sola, sedette a tavolino e scrisse al padre la seguente lettera: 

Babbo mio,

Da tre mesi sono prigioniera per la mia ostinazione di volermi fare suora e non sposare com’era tuo desiderio. Mi hai detto che se desidero uscire dalla prigione dipende da me; ebbene, ti scrivo per dirti: voglio uscire, papà vieni ad aprirmi, vieni ad abbracciarmi ! Ma tu non rallegrarti, non dire: ho vinto ! Sai chi deve essere il mio marito? L’uomo che discorreva con te, ieri sera, sotto la finestra del mio carcere. O lui o rimango prigioniera. Voglio sposarlo, non soltanto perché è troppo brutto, ma perché ha molto sofferto. Un sacrificio vale l’altro. Sono sicura che il Signore gradirà il mio sacrificio e lo accetterà come se io mi fosse fatta suora. Se dirai di sì vieni subito, se dici di no è inutile che tu vieni. Nell’attesa ti abbraccio : tua Cecilia >

Rilesse la lettera Rilesse la lettera parecchie volte e poi la chiese attendendo l’arrivo di Marina. Questa, con la solita puntualità, a mezzogiorno venne per portagli il pranzo, ansi quella volta- dato che il marchese era assente pranzarono insieme. Dopo il pranzo chiacchierarono un bel pezzo poi- quando Marina comprese che era l'o’a di lasciarla si abbracciarono promettendosi di rivedersi la sera a cena e all’ora Marina le avrebbe parlato di suo padre e di quel signore. Cecilia le diede la lettera pregandola di portarla nello studio di suo padre in modo che al ritorno la vedesse senza sapere chi l’avesse portata; altrimenti disse Cecilia darà la colpa a te e ti buscherai qualche rimprovero senza meritarlo. Marina prese la lettera e si lasciarono. Marina mentre attraversava il corridoio per entrare nello studio del marchese si disse:- Certamente Cecilia vuol combinare qualcosa delle sue, si sarà innamorata di quel signore? Entrò nello studio del marchese posò la lettera sulla scrivania e si allontanò. Il marchese, con l’ospite la sera rientrò tardi e quindi non vide la lettera che Marina lasciò sulla scrivania. Cenarono e andarono a letto presto perché il mattino dopo il marchese Fabrizio doveva partire presto : aveva promesso che sarebbe ritornato l’anno venturo all’apertura della caccia. Ormai era intimi: Sigismondo e Fabrizio si davano del tu, si volevano un gran bene. La mattina, dunque, partirono presto e Sigismondo lo accompagnò fino a Roccella. Ritornò che era passato mezzogiorno, dopo essersi riposato entro nello studio per vedere la posta che il corriere quella mattina aveva portato. Fra le lettere trovò quella di Cecilia, chiusa sì ma senza indirizzo. Prese la busta e prima di aprirla la girò e la rigirò tra le mani, non si decideva ad aprirla: chi l’ha portata? Si domandava- ma lui stesso non sapeva trovare la risposta. Suonò il campanello e al cameriere accorso domandò:- Petro mi sai dire chi ha portato questa lettera? Il cameriere : no signor marchese, come sapete io non entro mai nel vostro studio. Domandatelo al portinaio, rispose il marchese. Il cameriere s’allontanò ritornò dopo cinque minuti dicendo che neppure il portinaio sapeva niente. Il marchese s’impensierì, guardò ancora la lettera e la posò sulla scrivania senza aprirla.  

 

Capitolo 20

    D opo minuti di esitazione il marchese riprese la lettera e si decise ad aprirla. 
Quando lesse: “ padre mio “ disse: finalmente si è decisa, vediamo un po’ che cosa scrive. - Lesse la lettera e s’arrabbiò, la buttò per terra, la calpestò coi piedi imprecando contro se stesso e contro tutti. La prese poi, la rilesse di nuovo con più calma, con più serietà. Finita la lettura, questa volta non buttò la lettera, la piegò, la posò sulla scrivania e sedette sopra una poltrona: si prese la testa tra le mani e cominciò a riflettere. Dopo alquanto tempo disse: - povero Fabrizio, perché deve soffrire? Se dipende da me farlo felice, perché tardare? Cecilia ha ragione; Vado subito a trovarla! – Suona il campanello e chiama forte: - Marina, vieni qua! – Marina  corre, e, appena giunta, dice: - che c’è signor marchese? Perché mi chiamate così forte? – Il marchese risponde:- Innanzitutto dimmi: Hai portato tu questa lettera?- Marina risponde:- si, perché nasconderlo? Il marchese aggiunge:- vieni Marina, andiamo da Cecilia, voglio che mia figlia cessi di soffrire, voglio farla contenta. Marina con molta familiarità si prende il marchese a braccetto e mentre attraversano il corridoio gli dice:- Signor marchese, ieri sera mentre portavo la lettera nello studio, pensai che Cecilia (con essa) avevo combinato qualcosa delle sue, però ignoravo il contenuto, come lo ignoro tutt’ora. Il marchese che teneva la lettera tra le mani- sorrise e disse:- il contenuto di questa lettera lo saprai a momenti. – Intanto erano arrivati alla torre e mentre Marina metteva la chiave nella toppa le tremava la mano, tanto che non riusciva ad aprire. Il marchese disse: - fai presto; Cecilia attende, Cecilia sentendo la voce di suo padre, posò le mani sul cuore che le palpitava forte ed attese. Quando la porta si aprì il marchese – varcando la soglia – aprì le braccia e gridò: -“figlia, figlia mia “ Cecilia aprì le sue e, a sua volta, disse: - “padre, padre mio “- Si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro e piansero a lungo, mentre Marina - in disparte si gustava la scena e piangeva con loro. Quando si furono calmati il marchese, rivolto a Marina: - Marinella, senti un po’ che cosa mi scrive la monaca. – E così dicendo, spiegava il foglio e rideva, poi lesse forte la lettera e, rivolto a sua figlia disse: - e adesso come facciamo? Debbo scrivere a Fabrizio per dirgli: vieni che ti do mia figlia? Cecilia rispose:- non preoccuparti, saprò io come cavarmela. Ascoltami:- quella sera ascoltai i discorsi che facevate sotto la mia finestra e, se non erro, compresi che il marchese Fabrizio non sa della mia prigione e che sa, invece, che sono in monastero, tu, perciò, lo inviterai ad una festicciola che faremo alla fine della settimana prossima per la mia entrata in società. Manderai Pietro per avvisarlo, oppure gli scriverai ma (non ti meravigli la mia fretta) bisogna far presto. – Il marchese rispose: - faremo come tu vorrai: questa sera Pietro partirà per andare dal marchese e tornerà in serata o, al più tardi, nella mattinata di domani. – Uscirono dalla torre e Marina, che camminava dietro, chiuse fragorosamente la porta dicendo; - che nessuno possa entra più qui! – Quando Cecilia entrò dopo tre mesi di assenza – nella grande sala, l’incontro che ebbe con Teresa – anche se si erano visti spesso – fu commovente: si abbracciarono, si baciarono, si dissero delle parole affettuose e piansero entrambi da non finirla più. Il marchese e Marina assistevano in silenzio. Più tardi Cecilia entrò nella sua stanza per riposarsi un poco; ne aveva proprio bisogno, dopo quella giornata di grande emozioni. 


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