Capitolo VII      Decorazioni e affreschi 

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La presenza di affreschi nella Cattolica è una piena conferma di come la costruzione chiesastica sia stata parte integrante del cosiddetto Commonwealth bizantino e di quel grande fermento artistico e culturale, che, iniziato sotto il periodo della seconda colonizzazione greca, oltrepassò l’epoca angioina, per raggiungere, con influssi e adattamenti locali, gli inizi del XV secolo. Prestigiose testimonianze della storia della pittura arcaica calabrese, vera irruzione del mondo celeste in quello terrestre che viene così “trasfigurato e inserito nella realtà invisibile ed eterna”, essi costituiscono, per Giorgio Leone, elementi indispensabili “per la conoscenza di forme e modelli dell’iconografia greca nella Calabria medievale”. Precisa derivazione dai tipi fissi, cristallizzati, che, mediante i cartoni di modello, si propagavano dall’Oriente all’Occidente (cfr. P. Orsi, op. cit.), gli intonaci figurati dell’edificio sono un vero e proprio rompicapo per gli studiosi, che non dispongono di idonea documentazione storica e il cui unico sostegno è rappresentato dai raffronti stilistici- specialmente con quella ricca miniera di iconografie bizantine, che è S. Maria Antiqua in Roma e con i programmi di costruzioni siciliane o di ambito pugliese- e dal vaglio della stratigrafia.

Fu P. Orsi, per primo, coadiuvato dall’arch. Sebastiano Agati, dal Prof. Rosario Carta e dal restauratore D’Amico, a procedere allo “scrostamento generale dei dealbamenti e degli intonaci interni” e a mettere in vista gli affreschi, fotografando e consolidando le parti più interessanti di quelle pitture, di cui nemmeno il Diehl e il Bertaux (nel 1894 e nel 1904) nei loro studi inerenti all’arte dell’Alto Medioevo nel Mezzogiorno d’Italia si erano occupati. L’Orsi indirizzò tutte le sue cure a quegli affreschi che ritenne sincroni all’origine delle chiesetta, nati con essa o immediatamente dopo, a quei dipinti che uno scittore definì “meravigliosi, più meravigliosi che belli”. Dopo avere individuato nella parete ovest un’immagine di Madonna in trono (“inclino a credere di fine XIII- XIV secolo”) coperta di ampio mantello azzurro costellato di gigli gialli e un affresco risalente alla fase più antica, e nella parete settentrionale, tra l’altro, una vasta composizione del 1300, in cui campeggia una Madonna con bambino, affiancata da teste giovanili- nulla ha trovato nella parete di sud, a sinistra entrando, dove non operò assaggi-, l’archeologo roveretano indirizzò la sua attenzione verso la parete di levante, ove si trovano le tre absidette semicircolari.

In questi ambienti ottenne, infatti, dei risultati sensazionali. In particolare, nello sguancio destro dell’absidetta di nord- est (prothesis) mise in luce il dipinto di una santa nimbata, con la fronte cinta di un diadema regale, mentre in quello sinistro dell’abside centrale- ove in origine vi era un altarino- rese visibile una grande immagine di S. Basilio Magno, con la caratteristica barba lunga e fluente e coperto da un indumento impreziosito con rombi ornamentali.

Sullo sguancio di destra (sempre dell’abside centrale) Orsi identificò invece “la figura più completa, più bella, più ricca e stilisticamente nonché liturgicamente più istruttiva, di tutta la Cattolica”. Si tratta di S. Giovanni Crisostomo, “il Boccadoro della Chiesa Orientale, che per diversi secoli, dall’VIII al XVI, ha conservato, immutato, il proprio schema iconografico”: viso emaciato, testa incoronata da lievi ciocche, volto coperto da una barbetta appuntita, corpo rivestito da lungo camice, su cui si posa una penula bianca, quadrigliata a croci nere inscritte. Nello sguancio di sinistra del diakonikon, l’archeologo scoprì l’immagine di un santo anacoreta, nimbato, di un clamans in deserto, rappresentato in forme selvagge (“siccome colui che si cibava di locuste e miele selvatico”), con grande barba bigia, con lunghi e fitti fiocchi neri sulla carne rossa e con piedi nudi calzati di solae in cuoio nero. Il santo- che si identifica con S. Giovanni il Precursore- è ricoperto da un manto rosso marrone e regge nella mano sinistra un libro chiuso da fermagli (la destra, invece, benedice, con pollice, indice e medio alzati).

Nello sguancio di destra della stessa abside di mezzogiorno, l’Orsi non mise in luce alcun affresco: lì, comunque, a parere dello studioso, doveva esserci, a completare la triade dei gerarchi, dei santi vescovi e dottori, dopo S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo la figura di S. Gregorio Nazianzo (il Teologo). La presenza nel ciclo pittorico della Cattolica degli autori del testo della liturgia eucaristica- effigiati, per la Castelfranchi, secondo un modello arcaico, avendo in mano un libro al posto del rotulo- e di una tematica abbastanza fissa propria delle chiese bizantine di carattere ufficiale e della “equazione pittura = liturgia”, fa dire a Giorgio Leone che l’edificio avrebbe potuto subire, nel corso della sua storia, “un cambiamento di funzioni, nel senso che da un suo originario e probabile uso monastico”, potrebbe essere stato “adibito a funzioni estese a servizio della comunità ecclesiale cittadina” (Forme e modelli, op. cit., p. 16). In tal senso si giustifica, all’interno della decorazione pittorica del “mirabile fiore sbocciato tra le  rocce del Consolino”, la collocazione di episodi che corrispondono ad alcune delle dodici feste maggiori dell’anno liturgico: l’Annunciazione (25 marzo), la Presentazione di Gesù al Tempio (2 febbraio), la Dormizione della Madre di Dio (che corrisponde all’Assunzione, 15 agosto). Nulla Paolo Orsi trovò nel soffitto della chiesetta e all’interno delle cupole (perché mai decorate), fatta eccezione per la voltina a botte del bêma, in cui fa bella mostra di sé, in un grande ovale, un’immagine di Cristo “sereno e benigno, sedente in trono, sorretto da quattro angeli ed in atto di benedire” (la composizione fu assegnata al XV secolo).

Nella lesena di sinistra dell’abside centrale, invece, l’amico fraterno di Zanotti Bianco individuò un santo nimbato, con la barba bipartita, corta sul mento, reggente un evangelario e benedicente. La figura, dopo raffronti con alcune immagini di S. Maria Antiqua in Roma e un dipinto su legno di Bisceglie del XII secolo, fu, per la prima volta, letta dall’Orsi, che intravide in essa un S. Nicolò. La scoperta dell’Orsi fu subito sostenuta da Luigi Cunsolo, che nella sua Storia di Stilo si pronunciò in questo modo: “Può avvalorare la sua ipotesi (cioè, quella dell’Orsi) anche la tradizione religiosa di Stilo, dove il culto di S. Nicolò fu certamente molto diffuso anche nell’alto medioevo. Esistono ancora nel rione detto l’Orologio (nei pressi dell’attuale via M. Luly) avanzi di una chiesa intitolata al Santo e le stesse ninne- nanne che le madri stilesi cantano per conciliare il sonno sono piene di ricordi e di riferimenti relativi a questo Santo…Del resto, una delle cinque parrocchie esistenti a Stilo fino al secolo XVII era intitolata appunto a S. Nicola”.

Di fronte alle scarse notizie storiche, è stata la leggenda ad impadronirsi della figura di questo santo (nato in Licia e morto nel 350), arricchendola di particolari suggestivi e miracolosi: le tre sorelle salvate dal disonore, la tempesta domata, i tre ufficiali liberati da pericolo mortale, la resurrezione dei tre giovinetti affogati in un tino. In Occidente il suo culto si diffuse con Ottone II, la cui moglie Teofane era bizantina, per poi divulgarsi nei Paesi Nordici. Nell’arte greca e latina viene variamente raffigurato per lo più in abiti e con attributi episcopali, con tre palle d’oro su di un libro, tre pani o tre borse di denaro, un’ancora, una nave o nell’atto di placare una tempesta. La tradizione popolare lo ha trasformato in un vecchio munifico, dalla grande barba bianca, che porta doni ai bimbi nel giorno di Natale (cfr. Giuseppe M. S. Jerace, Una casa senza porte. Il culto di S. Nicola a Galatro, in “Calabria Sconosciuta”, n. 77, gennaio- marzo, 1998, pp. 35- 36).

Con  l’aiuto del poeta stilese Salvatore Pistininzi si è riusciti a recuperare le nenie di cui parlava Cunsolo. Eccone una: Veni, veni, san Nicola, ca stu figghiu u dorma vola; ma a du sonnu on vota l’ali, si tu on veni chi rigali! Veni veni, ca barchetta: u zitedu meu t’aspetta, mentatillu sutta u mantu, fallu  u dorma e fallu santu. Fai li sonni gioia e mamma, fai la ninna, fai la nanna; ch’e rigali ti li pigghi, doppu, quandu ti rivigghi. E’ questo uno spaccato di tradizioni popolari che dimostrano l’interscambio tra arte e realtà sociale, tra religione e modi di vita, nonché l’opera di secolarizzazione intrapresa dai monaci italo- greci (basiliani), che non hanno esitato un attimo a diffondere tra la gente fatti e miracoli dei loro beniamini, di quei santi divenuti, in breve volgere di tempo, i patroni di questo o quel paese sperduto di Calabria. Ma tutto questo interessa relativamente alla disamina degli affreschi della Cattolica, che, secondo Paolo Orsi, fu decorata una sola volta per intero e, successivamente, a pannelli, sui quali pio verranno eseguite altre pitture.

L’Orsi ritenne pure di individuare lo strato più antico di intonaco dipinto, e quindi coevo alla costruzione, nell’invaso dell’abside centrale (dove evidenziò un S. Giovanni Crisostomo) e in alcuni frammenti murari del terzo riquadro o compartimento della parete di ponente. Quest’ultima tesi- condivisa, del resto, da quasi tutti gli studiosi- fu “demolita”, per la prima volta, da Maria Pia Di Dario Guida nel corso del Convegno ecclesiale regionale su “I Beni culturali delle chiese di Calabria” svoltosi a Reggio Calabria e a Gerace dal 24 al 26 ottobre del 1980 e in alcune pubblicazioni (cfr. Itinerari per la Calabria, guide de L’espresso, Roma- Vicenza, 1993, pp. 128- 129; Icone di Calabria e altre icone meridionali, Soveria M., 1993, pp. 45 sgg.; La Stauroteca di Cosenza e la cultura artistica dell’estremo Sud nell’età normanno- sveva, Cava dei Tirreni, 1984, pp. 37, 75; Cultura artistica della Calabria medievale, Cava dei Tirreni, 1978, pp. 14- 15).

La studiosa, sviluppando alcune sue intuizioni originali e mettendo a frutto la “lettura” operata sugli affreschi nel corso di un intervento di restauro attuato da Raffaele Greco negli anni 1979- 80 (assistente Giorgio Leone) e da lei diretto, indicò nella parete ovest e nell’abside di sinistra, uno strato più antico di quello indicato da Paolo Orsi, datandolo tra la fine del X secolo e gli inizi dell’XI. Collegò  lo strato del S. Giovanni Crisostomo- che fece risalire al XII secolo inoltrato- ad alcune esperienze maturatesi nella Sicilia normanna. Contemporaneamente, M. Falla Castelfranchi- in Disiecta membra. La pittura bizantina in Calabria (secoli X- XIV), in Calabria bizantina, Incontro di studi bizantini, Reggio Calabria, 1985- 88, Soveria M., 1991, pp. 36- 37- proponeva una diversa interpretazione di tutto il palinsesto pittorico della Cattolica, stabilendo nessi e cronologie e individuando, per la prima volta, sulla parete occidentale una Crocifissione, spostando in avanti (al secolo XIII maturo) la datazione dello strato ritenuto più antico.

Una pubblicazione recente di Giorgio Leone (Forme e modelli dell’iconografia greco- bizantina nella pittura delle antiche diocesi di Squillace e Gerace, International AM Edizioni, Bivongi, 1996, pp. 12-20), ha cercato di mettere ordine nella complicata e, per certi versi, affascinante materia inerente agli affreschi della chiesetta di Stilo. Lo studioso innanzi tutto lancia un’ipotesi innovativa e scrive, a chiare lettere, che l’interno della Cattolica fu decorato interamente per ben due volte, se non addirittura tre, e non come è stato sempre proposto da Paolo Orsi in poi, soltanto una volta, e poi ripreso e rinnovato parzialmente in varie epoche. “La prima volta- spiega Leone- tra la fine del secolo X e gli inizi del secolo XI, ma forse in data più protratta, dopo la metà dello stesso secolo; la seconda, sul finire del secolo XII e gli inizi del successivo.” Al primo strato, nello sguancio destro della prothesis e sulla parete occidentale corrisponderebbero, secondo la ricostruzione di Leone, le figure di una Santa in piedi (martire, per P. Orsi) e di due guerrieri, che, a parere della Di Dario Guida, “denunciano un’antichità non lontana da opere come il S. Teodoro Stratilate del Menologo di Basilio II della Biblioteca Vaticana, miniato nel 985 o il Basilio II Bulgaroctono della Biblioteca Marciana di Venezia, del 1020” (cfr. pure Bozzoni-Taverniti, La Cattolica di Stilo, op. cit., p. 19).

Le due figure di militari sono state viste da M. Falla Castelfranchi come santi guerrieri afferenti a una Crocifissione, che ha attestazioni simili a Hosios Lukas, in Grecia, e, a partire dal secolo X, nell’Italia meridionale (Grottaglie, Sanarica, Casarello e Ugento) oltre che in pitture rupestri bizantine di area ionica (cfr. M. Falla Castelfranchi, Del ruolo dei programmi iconografici absidali nella pittura bizantina dell’Italia meridionale e di un’immagine desueta e colta nella cripta della Candelora a Massafra, in Il popolamento rupestre nell’area mediterranea: la tipologia delle fonti. Gli insediamenti rupestri in Sardegna, Atti del VII Seminario di Studi (Lecce, 1984), Galatina, 1988).

“Di questo primo strato affrescato- osserva Giorgio Leone- il lato più meritevole di particolare interesse al momento è quello stilistico: le figure appaiono dipinte con fare corsivo e non recano segni di limitazione di campi”, per cui si può facilmente affermare, con Giuseppe Santagata, che il pittore era probabilmente miniaturista, passato ad un genere di largo respiro: le pitture superstiti, che non presentano “cornici” di sorta, sono infatti di tale perfezione formale che solo un colorista di squisito gusto poteva permettersi (cfr. Monumenti di Calabria, MIT, Cosenza, 1968). Del secondo strato di affreschi (fine XII secolo, inizi del XIII) farebbero parte, tra gli altri, la Vergine Annunciata (parete di ponente), S. Basilio e S: Giovanni Crisostomo (sguancio destro dell’abside centrale) e l’Ascensione della volta del bêma. Nel secolo XIII (inizi del XIV) potrebbe essere collocata invece l’immagine di S. Giovanni Battista (lato ovest) e la figura di offerente, che potrebbero far parte di un’Annunciazione, “che ripete lo schema e il luogo di quella ricordata nel secondo strato”.

Sulla parete settentrionale (verso la prothesis) e su quella di sud, a destra entrando, Giorgio Leone ha individuato inoltre due santi apostoli, forse S. Bartolomeo e sicuramente S. Paolo (sono quelle “teste giovanili” di cui parlava Orsi?) e una santa, probabilmente S. Margherita d’Antiochia (di una Caterina da Venezia effigiata sulla parete ovest, aveva parlato, invece, tempo addietro, Giorgio Metastasio). La decorazione della Cattolica, a fine 1300, sarà nuovamente “rimaneggiata” mediante l’inserimento di nuovi pannelli o figure, come quella di una nuova S. Margherita sulla parete occidentale. “Più tardi- conclude Leone- ancora in elaborazioni locali della cultura di segno giottesco, viene dipinta la Presentazione di Gesù al Tempio (?), sulla parete settentrionale…(mentre)…agli inizi del secolo XV, nel diakonikon, viene dipinto un altro S. Giovanni Battista: una pittura decisamente moderna, che sembra di esecuzione locale e che culturalmente rinvia ad ambienti a metà strada tra le cose di Nicolò di Tommaso, relativamente alla sua produzione napoletana, e le prime esperienze galatinesi” (op. cit., p. 19).

La ricerca dello studioso completa, in parte, le indicazioni e le datazioni già acquisite sugli affreschi della Cattolica, anche se annuncia delle novità, come l’individuazione di due santi apostoli, di S. Margherita e della Presentazione di Gesù al Tempio. Ecco perché andrebbe nuovamente riformulata l’ipotesi di chi ha individuato “solo” cinque strati nel palinsesto pittorico del tempietto bizantino: il primo risalente al X-XI secolo, il secondo ai limiti dell’XI, il terzo all’età sveva, il penultimo al secolo XIV e l’ultimo allo stile gotico-valenciano. All’ultimo strato si riferirebbe il Sonno Eterno della Vergine, un racconto pittorico che ha la sua figura emblematica in un angelo che taglia con la spada le mani di un eretico mentre tenta di profanare il corpo della Madonna. Quest’ultima immagine- segno di una religiosità, di una spiritualità, di una tradizione che non son morte- è stata ripresa da manifestazioni religiose che si svolgono ogni anno in Calabria: ad esempio, la festa della Madonna della Lettera, che si celebra l’ultima domenica di agosto a Palmi.

Il valore della “Varia” fa infatti un riferimento specifico- anche se incompleto e interpretato in modo diverso- alla Dormitio Mariae, alla Dormizione della Madonna, illustrata soprattutto dalle icone bizantine.


        La cattolica di Stilo