Una medaglia per celebrare mille anni di storia del casato

di Giovanni Ruffo  

    Fra pochi anni si concluderà un millennio agli inizi del quale si verificarono, per il Casato dei Ruffo, due eventi di vitale importanza: il tracollo della sua potenza feudale, durato più di 60 anni ed il suo risorgere, che a metà del XIII secolo, durante e dopo il regno di Federico II, portò questa famiglia ad occupare le più alte e prestigiose dignità amministrative e militari del Regno di Sicilia.
    Sull'arrivo dei Ruffo in Calabria non vi è stato mai accordo tra gli studiosi di storia, forse anche perché nessuno storico ritenne utile di fare di tale argomento l'oggetto dei suoi studi. Facendo riferimento a quanto scritto da antichi autori, in epoche diverse si affermò che i Ruffo vennero in Calabria con i primi normanni, trovando conferma tale affermazione nella contemporanea presenza in Inghilterra di cavalieri normanni portanti lo stesso nome.
    Altri - e ciò è emblematico di un'epoca durante la quale la ricerca storica venne poco praticata - si accontentarono di trovare un Ruffo tra coloro che arrivarono in Calabria con Carlo I d'Angiò, per affermare la loro origine francese.
    Come si legge negli scritti del Ritonio e del Cardinale Leone, Vescovo di Ostia, i Ruffo furono potentissimi in Calabria ancor prima dell'arrivo dei primi Normanni. Discendenti dalla "Gens Rufa" - le loro origini si fanno risalire ai primi Consoli romani, avendo come capostipite quel Cornelio Rufo che combatté accanto a Romolo - in Calabria erano arrivati attraverso la via dell'Oriente, dove si erano trasferiti da Roma ai tempi di Costantino il Grande. Ebbero dai greci incarichi di governo conferiti a Giovanni-Fulcone Ruffo dall'Imperatore Basilio, suo genero. Questo Imperatore aveva infatti sposato Berenice, la bellissima figlia di Giovanni-Fulcone.
    In epoca posteriore erano stati riconfermati nel governo della Calabria da un altro Imperatore Andronico Giovanni Comneno anch'egli sposo di una Ruffo : Jole o Giovanna, figlia, anch'essa come l'altra, di un Fulcone .
    Il Ritonio scrisse che al tempo dell'Imperatrice Giovanna
" haec familia quinquaginta Principes habuit et cum eis magnam multitudinem discendentium ad numerum termilium " successivamente ,essendo caduti in disgrazia dei greci, i Ruffo non si limitarono a combattere i saraceni, ma accanto ai Normanni, combatterono anche gli stessi greci.
    Ai Ruffo nel 1091 si alleò Roberto il Normanno quando dalla Sicilia venne in Calabria per combattere il fratello Boemondo Principe di Taranto. Con i Ruffo si alleò anche Ruggero II, primo re di sangue normanno. Lo testimonia un diploma di concessione feudale fatta da questo monarca a Gervasio Ruffo nell'anno 1145, nel quale si legge testualmente che la concessione è  a favore " del Nostro fedele alleato in guerra lo Stratiota Dominus Gervasio Ruffo". Il grado militare di Stratiota attribuisce a Gervasio ed al casato al quale apparteneva un'origine ed un’epoca di arrivo in Calabria che non necessitano di commento.
    Sino a tutto il primo secolo di questo nostro millennio questa famiglia possedette in Calabria vastissimi feudi e fu protagonista dei maggiori eventi, politici e militari, in questa Regione verificatisi. La sua potenza fu tanta ed il lustro dei suoi cavalieri sì grande che gli fu riconosciuta dai contemporanei la qualifica di " Magna Domus ", l'appellativo di Calabria ed il diritto di intitolare i loro atti, come poi fecero nei secoli successivi, con la formula " Dei gratia Comes Catansarii " , non altrimenti che assoluti sovrani, come scrisse il Litta.  Tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII i Ruffo furono privati dai Re normanni (Guglielmo I, detto il Malo) di gran parte dei loro domini, avendo partecipato a rivolte dall'infelice esito.
    Dopo quasi un secolo, durante il quale i Ruffo vissero in Calabria da piccoli feudatari, la loro potenza ritornò a rifiorire nel corso del Regno di Federico II, durante il quale diversi di loro furono chiamati ai più alti vertici dello Stato.
    Nel 1188 da Giordano Ruffo di Calabria e da Agnese, dama dello stesso Casato, nasceva a Tropea Pietro (detto I per distinguerlo da suo nipote dello stesso0 nome). Non sappiamo con esattezza come Pietro si impose alla stima ed alla attenzione dell'Imperatore, che presso i contemporanei godette fama di grande conoscitore di talenti umani.  Michele Amari, nella sua opera "la guerra del vespro siciliano", dice che Federico da vil famiglio elevò Pietro Ruffo, nato assai poveramente a Tropea da piccoli feudatari, ai più alti gradi dello Stato e che Corrado IV, a lui succeduto, riconfermandolo negli incarichi ricevuti da Federico lo creò Conte di Catanzaro.
    L'Amari ricava le notizie sugli oscuri natali di Pietro Ruffo dalla " Cronaca " di un anonimo cronista dei tempi di Manfredi al quale nei secoli successivi fu arbitrariamente affibbiato il nome di Nicolò di Jamsilla. Il "Jamsilla", scrisse la sua cronaca su preciso mandato di Manfredi, che come è noto fu nemico mortale di Pietro Ruffo (un sicario di Manfredi assassinò Pietro Ruffo a Terracina nei primissimi giorni del 1257). Le notizie che questo autore diede su Pietro Ruffo sono ritenute di parte e poco attendibili dagli storici. Non fa dunque meraviglia che oltre a denigrare il Ruffo come politico ed uomo d'arme l'Anonimo abbia voluto avvilirne anche i natali, che come abbiamo visto furono invece nobili ed illustri.
    Federico II stimò talmente questo suo generale, che ebbe accanto durante le compagne di Lombardia, da elevarlo, in anni molto difficili per la Dinastia, ai più alti gradi dello esercito ed alle cariche più importanti dello Stato.
    Addirittura, forse presagendo gli eventi che avrebbero portato di lì a qualche anno all'oscura morte del suo ultimogenito Enrico, affidò in pratica a Pietro Ruffo la tutela di questo bambino, preferendolo addirittura - oh anima sua profetica - agli altri suoi figli Corrado e Manfredi. Alla morte dell'Imperatore, Pietro Ruffo era Maestro Maresciallo del Regno, viceré di Sicilia e Calabria , vicebalio del giovane Enrico e capo del Consiglio Aulico.  In queste vesti, negli anni che seguirono alla morte di Corrado IV e del giovane Enrico, difese i diritti di Corradino, legittimo erede al trono di Sicilia, dalle sempre meno dissimulate brame di Manfredi. Per gli stessi motivi rifiutò di trattare con il Papa, almeno sino a quando le sorti di Manfredi non apparvero vincenti e dimostrò chiaramente questo suo proposito battendo moneta a nome di Corradino, proprio mentre le richieste pontificie si facevano più pressanti. I fatti, oggi meglio conosciuti che nel passato, grazie ad una più aggiornata critica storica, confermano la grande capacità che Federico ebbe nel giudicare l'uomo: Pietro Ruffo fu infatti praticamente il solo e comunque il più tenace difensore delle volontà testamentarie di Federico II e della legittima  discendenza  degli  Hoenstaufen. E questo atteggiamento, ispirato non soltanto a sentimenti di lealtà, assunto da un uomo ben consapevole della particolarità e difficoltà del momento, non appare offuscato dall'asserzione di quegli storici i quali sostennero che Pietro tentò di trasformare, per se o per i suoi familiari, il suo Vicereame in Signoria. È una interpretazione degli avvenimenti di quegli anni che può apparire verosimile, ma non è la sola possibile né l'unica che sia stata fatta.
    Mentre gli ultimi Hoenstaufen si eliminavano a vicenda ricorrendo al veleno e spargevano la voce della morte di Corradino; mentre sull'ultimo superstite di questa Dinastia, l'illegittimo Manfredi, incombeva assieme alla scomunica anche il veto del Pontefice e l'ostilità dei regnicoli, perché il viceré, a quei tempi ancora gradito al popolo, avrebbe dovuto rinunciare alla possibilità di continuare a regnare, sotto l'egida pontificia, magari a nome di Corradino, ammesso che questi fosse stato ancora in vita?
    Se si considera questa ipotesi c'è da chiedersi piuttosto perché mai il Ruffo non si accordò subito con il Pontefice invece di tergiversare così tanto. La risposta c'è e conferma la statura dell'uomo, la sua dirittura morale e l'acume politico da lui posseduto!
    Quando le pressioni del Pontefice sul viceré erano più pressanti, la situazione politica nel Regno era particolarmente fluida e mutevole. Il Papa veniva a patti con Manfredi, legandoli però a condizioni che il giorno dopo modificava sostanzialmente ed unilateralmente; Manfredi fingeva sottomissione mentre non si faceva scrupolo di ordire trame ed uccisioni di avversari politici, intimamente legati al Pontefice; le popolazioni di Sicilia e Calabria erano frastornate da tante contraddittorie notizie e già incominciavano a concepire, soprattutto in Sicilia, il disegno di erigersi a liberi Comuni sul modello di quelli Lombardi; la nobiltà, sempre attenta alla protezione del proprio interesse, in un clima di tanta incertezza appariva più che mai divisa tra papato e monarchia. Agli occhi di un politico accorto, quale Pietro I dimostrò di essere, non potevano apparire certamente quelli i tempi più maturi per proporsi come terza soluzione, tanto più che Manfredi si andava mostrando militarmente sempre più forte e politicamente in ascesa, mentre il nuovo Pontefice, Alessandro IV, nonostante gli eventi ancora speranzoso di sottomettere Manfredi, non dimostrava particolare interesse a soluzioni diverse da quelle dal suo predecessore in principio concepite.  Quanto fosse esatta l'analisi politica fatta dal Conte di Catanzaro lo dimostrarono di li a poco da una parte i messinesi quando, desiderosi di autonomia e, forse, anche sobillati dagli emissari di Manfredi, insorsero contro il viceré respingendolo in Calabria e dall'altra le vittorie di Manfredi sui papalini che furono tali da costringere il Conte ad abbandonare la partita rifugiandosi presso la corte pontificia.
    Se dunque veramente Pietro Ruffo concepì il disegno di impadronirsi del Regno di Sicilia, non lo sapremo mai con certezza poiché il corso degli eventi fu tale ed il loro divenire così rapido che non gli fu dato neppure il tempo di concretamente proporlo!
    Poco più di un anno dopo Pietro Castellomata, sicario al soldo di Manfredi, pugnalava proditoriamente a Terracina il Conte di Catanzaro. Cessava così di vivere un uomo di grande acume politico, un valoroso soldato che aveva cento volte sfidato la morte sui campi di battaglia, l'uomo che aveva creato le basi sulle quali i suoi discendenti nei secoli futuri avrebbero costruito le fortune del Casato portandole a livelli mai prima raggiunti .
   
Per ricordare tanto uomo gli ultimi suoi discendenti viventi in questo scorcio di millennio, che vide il tramonto ed il risorgere della dinastia dei Ruffo, concependo l'idea di coniare una medaglia celebrativa hanno voluto affidare l'esecuzione ad uno scultore della loro stessa terra e la scelta felice, dopo matura riflessione, cadde sullo scultore calabrese Rosario La Seta.


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