Le scorrerie piratesche sulle coste calabresi furono piuttosto frequenti nei secoli scorsi1. Una prova tangibile dell’entità del fenomeno è rappresentata dalla presenza di torri costiere, in gran parte edificate durante il XVI secolo, che ancora oggi caratterizzano l’intero litorale della regione2. La principale funzione di tali edifici fortificati era proprio quella di segnalare tempestivamente ai centri interni l’imminente pericolo di uno sbarco da parte di navi pirata e di apprestare le prime difese in attesa di rinforzi. In genere i vascelli saraceni erano occupati da musulmani provenienti dalla Tripolitania, dal Marocco e da altri paesi islamici del bacino del Mediterraneo, che compivano vere e proprie razzie di beni mobili e di animali, giungendo in taluni casi anche a rapire gli abitanti del luogo3. Di singoli episodi del genere si ritrova talvolta una dettagliata descrizione nelle cronache o nelle fonti notarili dei secoli XVI  - XVIII, epoca nella quale maggiormente si verificarono tali incursioni.

1) Sull’argomento cfr. G. Valente, Calabria, calabresi e turcheschi nei secoli della pirateria, Chiaravalle Centrale 1973
2) Sulle torri costiere di avvistamento, ibidem, pp. 389-402
3) Capitava spesso che alcuni calabresi, rapiti da bambini crescessero secondo il costume saraceno e divenissero essi stessi pirati che terrorizzavano le coste del loro Paese di nascita.

   Se tale triste fenomeno risulta così ampiamente diffuso e documentato in tutta la regione, quasi del tutto inediti, al contrario, risultano finora i casi di imbarcazioni calabresi armate specificamente per praticare il corso contro i saraceni. Abituati a ritenere la rassegnazione quasi un tratto distintivo delle popolazioni calabre, per le quali le scorrerie saracene avrebbero costituito una sorta di fatalità da accettare senza condizioni, limitandosi tutt’al più, ove possibile, a contenere i danni, l’eventualità che qualche ardito calabrese in quel tempo avesse potuto soltanto supporre di ripagare il nemico con la stessa sua moneta ci era apparsa così remota da essere considerata quasi inverosimile. Questo convincimento veniva rafforzato da due rilevanti circostanze: innanzitutto dalla politica strategica della Spagna nei secoli XVI e XVII, tradizionalmente tesa a disarmare il Regno di Napoli mediante la quasi totale eliminazione della sua flotta militare e a basare la difesa delle coste esclusivamente sull’inefficace e costoso sistema di torri di avvistamento supportato da modesti contingenti di truppe terrestri4. La seconda circostanza era rappresentata dal fatto che le fonti rimanevano in genere silenti nei confronti dell’organizzazione e nella pratica di una vera e propria attività di pirateria cristiana di origine calabrese contro gli ottomani. Non va infatti considerata tale l’azione svolta, e ampiamente documentata, da illustri calabresi che coraggiosamente organizzarono singole imprese militari contro i turchi5 o presero parte con propri contingenti a spedizioni punitive di ampia portata, organizzate dalle autorità statali6 o da ordini cavallereschi7.

4) Sull’argomento cfr. G. Valente, Calabria, calabresi e turcheschi…, cit., pp. 389 e sgg.
5)
  Fra i tanti basterà ricordare il condottiero Antonio Sersale resosi protagonista di una spedizione in Albania (1464), Antonio Arenante e Carlo Ruffo dell’Ordine di Malta ( sec. XVI),     il capitano Giovanni Calabrese e tanti altri, ibidem., pp. 402-429
6) Si pensi per esempio all’impresa di Tunisi (1535) voluta da Carlo V e soprattutto alla famosa battaglia di Lepanto (1571) ma anche a tante altre minori spedizioni.
7) Importante al riguardo fu l’opera dei Cavalieri di Malta, G. Valente, Calabria, calabresi e turcheschi…, cit., pp. 404 e sgg.

   Se è vero che le fonti sono tutt’altro che prodighe di notizie sulla pratica del corso da parte dei calabresi, uno scavo approfondito nelle stesse, tuttavia, riserva talvolta sorprese inaspettate. E’ il caso degli atti del regio e apostolico notaio geracese Francesco Camuso, vissuto durante la seconda metà del Seicento ed attivo in Gerace fra il 1691 ed il 17028.

   All’interno del protocollo dell’anno 1694 ho potuto rilevare l’esistenza di un rogito che ritengo assai significativo per le ricerche sulla pirateria calabrese. Si tratta di un atto di convenzione9 redatto sulla spiaggia, presso la marina della terra di Bovalino10, il 17 giugno 169411 e contenente un accordo fra un armatore calabrese ed i capitani e l’equipaggio di due feluche in procinto di iniziare a corseggiare.

8) Cfr. Sezione di Archivio di Stato di Locri (RC9), (=A.S.L.), fondo notarile, inventario, bb. 82-83, voll. 763-773.
9) Atto di accordo preventivo fra due o più contraenti spesso in merito ad una futura attività da svolgere in comune mediante la divisione dei compiti.
10) Centro interno situato sulla versante ionico della Calabria, nell’attuale Locride, antico circondario di Gerace, oggi provincia di Reggio Calabria, identificabile con la medievale Motta Bubalina, cfr. F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma 1977, vol. I.
11)
Cfr. A.S.L., fondo notarile, not. F. Camuso, b: 82, vol. 766, ff. 21r-24v.

   Alla presenza del notaio Camuso, infatti, si erano costiruiti l’abate don Ferrante Spinelli dei principi di Tarsia e conti di Bovalino12 e i capitani di nave Vito Porzio da Napoli e Biase Maggio da Messina. Poco lontano, quella mattina si ritrovavano ormeggiate nel porticciolo bovalinese le loro due navi da guerra da poco varate, dotate di oltre quaranta uomini ciascuna di equipaggio, di armamento e di tutto il necessario per la navigazione.

    Il documento ci informa che era stato proprio l’abate Ferrante Spinelli a far costruire quelle che il notaio definiva "due filluche lunghe di corso13" su richiesta dei capitani e degli equipaggi, con il preciso scopo di "andare in corso contro nemici della fede et della corona di sua Maestà Cattolica14". Egli aveva richiesto ed ottenuto a sue spese anche la "regia patente" dalla corte in Palermo, una sorta di autorizzazione a praticare la pirateria contro i musulmani.

   Ogni imbarcazione era lunga ottanta palmi (21 metri), era armata con "due cannoni di bronzo, otto pietrere di ferro, due pietrere di bronzo, quattro spingardi, moschettoni, scopette, pistole, scarcine, buttavanti, palle, polvere, micci, pietre di foule15", ecc., ed era corredata di tutto l’occorrente per affrontare il mare aperto anche per lunghi periodi.

12) Gli Spinelli governarono Bovalino per un breve lasso di tempo (1689-1703) con la persona di Caterina Spinelli, figlia di don Ferrante dei principi di Tarsia e di Francesca del Negro (+ 1687) con cui si era estinta la casa genovese del Negro che aveva dominato la città per circa un quarantennio, cfr. M. Pellicano Castagna, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, Chiaravalle Centrale 1984, vol. I ( A-Car). Pp: 278-279.
13)
Infra, appendice, testo del documento, f. 21 r
14) Ibidem, f. 21 v
15) Ibidem.

   L’armatore, infatti, aveva complessivamente ben 5000 scudi di Sicilia per la costruzione e la dotazione delle navi, non trascurando nulla, neppure di assegnare ai capitani la somma di 100 scudi per spese eventuali.

   L’abate Spinelli intendeva recuperare il considerevole denaro anticipato attraverso la ripartizione dei proventi della pirateria con i capitani e i rispettivi equipaggi. In quest’ottica trovava ampia giustificazione la redazione di un atto notarile che cautelasse entrambe le parti, prima che le due navi levassero le ancore per dare inizio alla pericolosa attività.

   Il documento rogato da Francesco Camuso, infatti contiene un puntuale e scrupoloso accordo non solo per la ripartizione degli eventuali bottini ma anche per l’organizzazione e la gestione vera e propria dell’attività di pirateria. Gli elementi fondamentali di tale accordo furono raggruppati in undici punti, secondo un ordine prestabilito.

   Innanzitutto i capitani e i rispettivi equipaggi s’impegnavano a "corseggiare sempre per li mari del Mediterraneo per dove stimeranno meglio far prede sopra detti nemici della fede et di sua Maestà, né ritirarsene in porto prima di detto tempo16". Era consentito loro di approdare in caso di burrasca ma venivano obbligati a riprendere il mare non appena cessato il pericolo.

   Nel caso si fosse fatto un bottino di poco o mediocre valore le navi avrebbero potuto condurlo in quelli che all’epoca venivano ritenuti "porti sicuri17": Siracusa, Catania, Trapani o Pantelleria. Affidate le prede alla custodia di tre o quattro persone sarebbe stato compito dei capitani avvertire al più presto della cosa i signori Giuseppe Barna e Giovanni Giorgio Monti18, referenti messinesi dell’armatore. A questi ultimi avrebbero dovuto consegnare un puntuale inventario e descrizione del bottino in modo che l’abate Spinelli, successivamente informato da costoro, si fosse trovato nella condizione di decidere sul dafarsi.

   Se invece il bottino fosse stato assai consistente il porto obbligato per l’attracco sarebbe stato quello di Messina, e precisamente presso il "faro (…) o sin dentro il lazzaretto di detta città ed ivi consegnarli con destinto e puntual inventario a detti signori Barna e Monti et conseguente debbano subito partire per proseguire il corso suddetto19".

   Il ricavato della messa in vendita dei primi bottini sarebbe stato di esclusivo appannaggio dell’armatore, il quale così si sarebbe rifatto delle ingenti spese occorse per armare le due navi. Recuperate le spese, gli utili sarebbero stati divisi a metà fra Ferrante Spinelli e i due equipaggi al netto della decima che doveva essere versata alla Regia Corte in Palermo20. Ai capitani delle due feluche sarebbe toccata la gionca21, oppure il 5% di tutti i bottini realizzati dall’attività di pirateria, al netto delle spese che l’armatore avrebbe dovuto recuperare22.

16) Ibidem.
17) Risultato controverso se questo aggettivo si riferisse al livello di sicurezza offerto dal porto in relazione alla presenza di notevoli fortificazioni o se si trattasse di approdi nei quali si praticasse forme di libero commercio al limite della legalità, anche con popolazioni potenzialmente ostili. In considerazione del tipo di attività svolta dalle due feluche, propendo per la prima ipotesi.
18) Non posseggo notizie su costoro ma doveva certamente trattarsi di personaggi di rilievo della societ
à messinese del tempo
19) Infra, appendice, testo del documento, f.22r.
20) Lo Stato concedeva facilmente la patente per la pratica del corso ma pretendeva un decimo di tutti i proventi.
21) La porzione del bottino spettante al capitano della nave corsara.
22) Infra, appendice, testo del documento, f. 23 v.

   Una clausola a prima vista capestro nei confronti dei corsari calabresi, era rappresentata dal patto che se questi ultimi non fossero riusciti a recuperare le spese per l’armamento delle navi con la pratica del corso, o peggio avessero deciso di non praticarlo più o fossero fuggiti, in tali casi sarebbero stati tenuti a rimborsare l’armatore di tutte le spese affrontate ed i prestiti a loro elargiti. Non era un abuso: il notaio, infatti, si era affrettato a chiarire che quei bastimenti erano stati "armati et forniti a richiesta di detti marinari e capitani, perché altrimenti esso illustre signor abbate don Ferrante non haveria fatto fabbricare, armare et finire23". L’idea di praticare il corso, dunque, era partita dagli equipaggi, probabilmente dai capitani, non dall’abate Spinelli, il quale aveva finanziato l’iniziativa convinto nella riuscita dell’investimento ma nel contempo abile a cautelarsi in caso di fallimento.
    Se qualcuno dei marinai si fosse dato alla fuga i capitani e gli equipaggi venivano obbligati a riacciuffare a proprie spese il fuggitivo. Tali spese sarebbero state rimborsate da quest’ultimo se catturato o, in caso contrario, dedotti dai comuni proventi24.
    L’abate Ferrante Spinelli aveva la facoltà di armare gli eventuali vascelli catturati dai suoi corsari, trasferendo su questi una parte degli uomini imbarcati sulle feluche originarie25.
    Fra le clausole più interessanti del contratto segnalo le seguenti:

   In caso di arrembaggio vittorioso ai marinai sarebbe spettato il "sacco franco delle robe tagliate di coverta senza però toccare roba mercantile sotto coverta, né quella ammovere da dove si trova". Se l’imbarcazione nemica si fosse arresa senza combattere i marinai avrebbero perso tale diritto e i beni in questione sarebbero stati equamente ripartiti come gli altri depredati26.

   Il cassero dell’imbarcazione catturata sarebbe spettato al capitano ma una ricompensa sarebbe stata assegnata al marinaio che se ne fosse impossessato27.

   Chi per primo avesse avvistato un bastimento nemico di giorno la cui cattura fosse andata a buon fine sarebbe stato ricompensato con cinque scudi; chi lo avesse fatto di notte ne avrebbe ricevuto dieci28. Il primo uomo che fosse riuscito a salire sull’imbarcazione nemica da conquistare avrebbe ricevuto quindici scudi; dieci il secondo e cinque il terzo sempre che i nemici avessero opposto resistenza e non si fosse subito arresi29.
    Simili incentivi, decisamente redditizi, avevano la finalità di stimolare l’avidità dei singoli marinai invogliandoli al combattimento.

   Nessuno avrebbe dovuto aprire la stiva di un vascello catturato carico. Chi lo avesse fatto sarebbe stato condannato a pagare un’ammenda considerevole "secondo l’uso et consuetudine della marinaria di corso30". A tale uso le parti, di comune accordo, promettevano di attenersi per tutto ciò che nel contratto non era stato specificato.

   Ma la clausola per certi versi più sorprendente era quella che prevede la rinuncia al 50% dei profitti di ciascuna feluca sia da parte dell’armatore che degli equipaggi per "farne elemosina alla chiesa dell’Anime del Purgatorio, sita nella marina di questa terra ( di Bovalino ) (…) a fine di farsi beneficio in detta chiesa31". Si trattava di una delle numerose chiesette erette da marinai e pescatori presso la costa delle marine calabresi, talvolta non lontano dalle torri di guardia, di solito in occasione di scampati pericoli provenienti dalle acque marine, a testimonianza della grande fede religiosa della gente di mare.

23)  Ibidem, f.22v.
24)  Ibidem, ff.22v-23r.
25)  Ibidem, f.22v.
26)  Ibidem, f.23r.
27)  Ibidem.
28)  Ibidem.
29)  Ibidem
30)  Ibidem, f.23v. E’ notevole l’esistenza di usi e consuetudini, per la marineria di corso cristiana ed è per certi versi sorprendente che tali norme fossero riconosciute ed applicate dai corsari del tempo.
31) Ibidem.

   Non si posseggono allo stato attuale notizie documentate circa la sorte toccata alle due feluche e soprattutto agli uomini a bordo. Sebbene non si possa escludere che una ulteriore ricerca nelle fonti del tempo consenta l’acquisizione di nuovi elementi sulla vicenda, difficilmente si potrà conoscere quanto tempo i corsari calabresi abbiano navigato, quali e quanti bottini abbiamo realizzato, quanti di loro siano sopravvissuti a quella pericolosa avventura intrapresa per le acque del Mediterraneo. Di quegli 85 uomini in partenza da Bovalino oggi conosciamo soltanto i nomi, elencati uno dopo l’altro in calce al documento che ha tramandato ai posteri un frammento della loro storia.

 

DOCUMENTO

 

     1694, giugno 7, Indizione II, Bovalino.
    Originale: Locri, Sezione Archivio di Stato, 
    fondo notarile, not. Francesco Camuso, b. 82, vol. 766, ff. 21 r-24v.

     Die decimo septimo mensis iunii, secundae inditionis, millesimo seicentesimo nonagesimo quarto, in terra Bobalini et prope in marittima ipsius
    Regnante etc.

    Personalmente costituiti coram nobis etc., capitan Vito Portio napoletano et capitan Beasi Maggio della città di Messina nec non l’infrascritti marinari nominandi et cognominandi in calce del presente istrumento, cogniti etc., aggono ed intervengono alle cose infrascritte per se stessi etc. da una parte.
   
Et l’illustre signor abbate don Ferrante Spinelli di Tarsia aggente similmente et  interveniente alle cose infrascritte per se stesso, heredi etc. dall’altra parte.
   
Esse parti asseriscono con giuramento come, a richiesta delli sopradetti capitani et infrascribendi marinari esso illustre signor abbate don Ferrante Spinelli ha fatto fabricare due filluche lunghe di corso di palmi ottanta l’una, fornite di tutta sartiame, vele, tende, capi, ferri ed ogni altra cosa necessaria et armate di due cannoni di bronzo, otto pietrere di ferro, due pietrere di bronzo, quattro spingardi, moschettoni, scopette, pistole, scarcine, buttavanti, palle, polvere, micci, pietre di foule e tutto e quanto fu necessario per l’armamento, fornite similmente di biscotto, vino, oglio, aceto, sale, legume, formaggio, semola, farro, sarde salate, et di quanto detti capitani et marinari hanno desiderato per loro bastimento, conforme la nota che si conserva appresso detto signor don Ferrante, riconosciuta, calcolata et abonata per esse parti, ascendente dette filluche con tutti loro servimenti, armamenti, provisione di vitto, inprestiti  di danari contanti dati ad essi capitani et loro marinari et danaro contante per portasili di sopra più per loro uso in caso che li bisognasse scudi cento, che tutti insieme ascendono alla somma di scudi cinquemila moneta di Sicilia, conforme di accordo s’è liquidato fra esse parti.
   
Et detti soprannominati capitani et infrascribendi marinari con giuramento confessano havere ricevuto le dette filluche con li sopranominati et altri non nominati fornimenti, armamenti, provisione et imprestiti di danaro da detto illustre signor don Ferrante et quelli tenere in loro potere, cura , governo et amministratione, con l’infrascritti || (21v)patti et condizioni videlicet.
   
Li detti soprannominati capitani et infrascribendi marinari ed ogn’uno d’essi in solidum promettono con giuramento ad esso signor abbate don Ferrante, presente, stipulante etc,. andare in corso contro nemici della fede et della corona di sua Maestà cattolica in conformità della regia patente fattali spedire esso illustre signor abbate don Ferrante a sue spese dalla Regia Corte in Palermo et per tutto il tempo che parerà et piacerà a detti capitani debbono corseggiare sempre per li mari del Mediterraneo per dove stimeranno meglio far prede sopra detti nemici della fede et di sua Maestà, né ritirarsene in porto prima di detto tempo, ma quando o per caso di borasche di mare o per sicurezza o altro preciso bisogno fossero necessitati approdare ad terra debbano tenersi in mare sopra dette filluche et non scendere in modo alcuno in terra sino a tanto che cessato il bisogno o pericolo potessero di nuovo mettersi in mare e proseguire il loro corso.

    Secondo. Essi capitani et marinari s’obbligano che in caso facessero qualche preda di poco valuta o di mediocre debbano ammarinare il bastimento o bastimenti presi ed accompagnarli in porto sicuro, cioè Siracusa, Catania, Trapani o nella Pantelleria ed ivi lasciarlo con tre o quattro persone per guardia et darne subbita parta nella città di Messina al signor don Giuseppe Barna et signor Giovanni Giorgio Monti corrispondenti di detto illustre signor abbate don Ferrante, residentino in detta città di Messina, con inviarli distinto e puntuale notamento di tutto quello che consistessero le prede predette, affinché dalli medesimi corrispondenti possa esso signor abbate don Ferrante esserne certiorato et dare li ordini di quello si doverà fare ed eseguire, et in caso che per il mantenimento delle persone che lasceranno in guardia sopra detti bastimenti di preda || (22r) li bisognasse qualche danaro, lo debbano similmente accuisare a detti signori Barna et Monti per provederli di quello li bisognerà etc.

    Terzo. In caso che con l’aggiusto di Dio li detti capitani et marinari con dette filluche facessero prede di considerazione et valuta non debbano ammarinare li bastimenti di preda ma accompagnarli sino al faro di Messina o sin dentro il lazzaretto di detta città ed ivi consegnarli con destinto e puntual inventario a detti signori Barna e Monti et conseguente debbano subito partire per proseguire il corso suddetto quia sic etc.

    Quarto. In caso che le prede sudette fossero ridotte in uno delli detti porti, debbano detti capitani et marinari ritirarsi nel porto di Messina et darne parte ad esso illustre signor abbate don Ferrante aciochè vendute con suo intervento o di detti signori Barna e Monti tutto il contenuto di dette prede o in altra maniera smaltito possa sodisfarsi et rimborzarsi esso illustre abbate don Ferrante la sudetta spesa di scudi cinquemila, moneta di Sicilia, et quello di più che in futurum l’occorresse spendere et  di quello che avanza pagare la decima spettante alla Regia Corte di Palermo ed il di più dividersilo metà esso illustre signor abbate don Ferrante et metà ad essi capitani et marinari secondo le regole et patti fra di loro quia sic etc. Et in caso che non facessero prede bastanti per soddisfarsi esso illustre signor abbate don Ferrante della sopradetta spesa fatta et facenda et li detti capitani et marinari o fuggissero o non volessero continuare il corso, sia ciaschedun di loro, conforme con giuramento promettono et s’obligano etc., tenuto et tenuti pagare et sodisfare a detto illustre signor abbate don Ferrante tutto il danaro dal medesimo signore a ciascheduno improntato, a quale effetto possa esso illustre signor abbate don Ferrante o suo legittimo procuratore astringerli realiter et personaliter in qualsisia loco, foro et tribunale, a restituirli li detti || (22v)imprestiti con la totale sodisfatione di tutto lo speso per detti bastimenti fabricati, armati et forniti a richiesta di detti marinari e capitani, perché altrimente esso illustre signor abbate don Ferrante non haveria fatto fabricare, armare et finire, et alle cose predette s’obligano una simul et in solidum.

    Quinto. In caso che detti capitani et marinari non facessero prede bastanti per sodisfarsi esso signor abbate don Ferrante li detti scudi cinquemila spesi e tutto quello che in futurum spendesse per causa di bastimenti di dette filluche o delle spese faciende et pigliassero forse qualche armamento inimico della suddetta o altra qualità di dette filluche et detto illustre signor abbate don Ferrante volesse armare in corso il detto armamento seu legno preso, siano tenuti li suddetti  capitani et marinari o quanto d’essi detto illustre signor abbate don Ferrante stimerà necessarii, passare da un armamento all’altro ed andare in corso insino ad tanto che havessero compito la totale sodisfatione a detto illustre signor abbate don Ferrante così per la spesa sudetta di scudi cinquemila, come tutta l’altra facienda per dette filluche ed armamenti di preda et loro bastimenti, conforme detti marinari così con giuramento s’obligano in soludum quia sic etc.

    Sesto. In caso che qualcheduno o più marinari se ne fuggissero da dette filluche o dall’armamento di preda che di voluntà di detto signor Ferrante s'armassero in corso siano tenuti essi capitani et restanti marinari farli perseguitare e carcerare in qualsiasi parte dove capitassero et per detto effetto far tutta la spesa necessaria da rinfrancarsi o sopra la persona dei fuggitivi che li spettasse in caso si riducessero alle filluche ed armamenti stante che || (23r) quando non si potessero reducere non devono tirar parte alcuna o pure da rinfrancarsi detta spesa sopra la communità et massa delle prede suddette, conforme essi capitani et marinari con giuramento in solidum s’obligano quia sic etc.

    Settimo. Che in caso di prede possano li marinari havere il sacco franco delle robe tagliate di coverta senza però toccare roba mercantile sotto coverta, né quella ammovere da dove si trova; et che possano detti capitani ritenersi qualche galanteria che li piacerà a loro arbitrio da regalare al sudetto illustre abbate don Ferrante partionalmente et che il cassaro della preda sia delli capitani et pel marinaro che si imposesserà di detto cassaro debba guardarlo per detti capitani li quali dovranno dar la parte a chi si imposesserà di detto cassaro quia sic etc.

    Ottavo. Chi scomboglierà bastimento di giorno pigliandosi detto bastimento se li debbia dare scudi cinque et se lo scomboglierà di notte habbia scudi dieci; et chi sarà il primo a montare sopra detti bastimenti nemici se li dia d’avante parte scudi quindici; al secondo diece et al terzo cinque, quia sic. Etc.

    Nono. Che qualsisia marinaro che prendesse danaro bullato debba rivelarlo alli capitani in qualsisia luogo che lo trovasse e tirare a suo beneficio il diece per cento et non rivelandolo incorra nella pena ad arbitrio delli capitani oltre la parte che li spettasse. Et in caso che fosse preso bastimento nemico carico nessuno possa aprire la stipa et aprendola incorra nella pena secondo l’uso et consuetudine della marinaria di corso, qual uso et consuetudine si debbiano osservare in tutti l’altri capi qui non espressi come se fossero espressi quia sic etc.

    Con dechiaratione che di quelli bastimenti che si rendessero senza combattere non debbano  li marinari avere il sacco delle robbe tagliate di coverta ma dette robbe se li debbiano dividere conforme detto uso et consuetudine || (23v) né tampoco debbiano tirare il premio sopra detto delli tre primi che montassero li detti bastimenti stante che detto sacco franco et premii sopra espressi s’intendono concessi in caso che il bastimento nemico resistesse, dico resistesse et combattesse, quia sic etc.

    Decimo. Che alli capitani si debba dare la gionca  da detto illustre signor abbate don Ferrante quale sia competente, secondo la quantità et qualità delle prede che faranno o pure darli il cinque per cento di dette prede ad arbitrio però di detto illustre signor don Ferrante, intendendosi detta gionca dedotte prima le spese sudette ed altre che farà detto illustre signor don Ferrante, quia sic etc.

    Undecimo. Che di tutte le prede si faranno dedotta prima la spesa di detti scudi cinquemila e quanto di più in avvenire si spendesse come di sopra s’è detto et dedotta la decima spettante alla Regia Corte et le spese comuni di quello che sopravanza si debba dare mezza parte per felluca per elemosina alla chiesa dell’Anime del Purgatorio, sita nella marina di questa terra per parte di detti capitani et marinari ed un’altra parte promette darla detto illustre signor abbate don Ferrante dalla sua portione che li spetterà, a fine di farsi beneficio in detta chiesa, me notarium presentem et pro ea stipulantem.

    Et per esequtione delle cose predette li sopradetti capitani e marinari infrascribendi confessano con giuramento havere ricevuta tutti l’imprestiti di danari pagatili da detto illustre signor abbate don Ferrante, compresi nelli notamenti che restano in potere di detto illustre signor abbate don Ferrante alli quali etc. che vanno compresi fra la detta summa di scudi cinquemila, moneta di Sicilia. Et li nomi di detti marinari et loro cognomi sono l’infrascritti videlicet || (24r):

    Domenico Vazzano, Antonio Morabito, Antonio di Pietro, Bartolo Arango, Nicolò Maranzano, Agostino Todisco, Giovanni Scardilla, Tafiro Craipoti, Giovanni Raneri, Giacomo Spanò, Giulio Rianò, Giuseppe Spinelli, Domenico Crucitta, Michele Richiechi, Giacomo Oliveri, Giuseppe Gatto, Costantino Colosi, Diego Casentino, Diego Tomasello, Onofrio Sorriraldi, Gaetano Mazzuni, Francesco Catanea, Diego Caristi, Santo Gaetano, Domenico Bonanno, Francesco Misiano, Matteo Puliti, Giuseppe Macrì, Domenico Scaglione, Francesco Caristi, Diego Fava, Antonino Bombaci, Placido Costa, Valentino Milandro, Atonino di Stilo, Salvatore Schimizzi, Gasparo di Paula, Domenico Piscotti, Filippo Arena, Capitan Vito Porzio, Onofrio Vita, Capitan Bease Maggio, Antonino Catafeo, Agostino Lopresti, Domenico Suraci, Giacomo Virdirame, Filippo di Arrigo, Antonio Vinci, Filippo Casentino, Giovanni Cardillo, Pietro Maugeri, Antonino Surace, Placido Berlingeri, Domenico Famà, Francesco Giordano, Francesco Galofano, Giuseppe Cufari, Nardo Casanova, Placido Cutroneo, Antonino Camaride, Paulo Tofanio, Giuseppe Lombardi, Antonio Franco, Giuseppe Piscopi, Giovanni Romeo scrivano, Domenico Duci, Giuseppe Lacopo, Domenico Costantino, Nunzio Morabello, Giuseppe Spanò, Giuseppe Grillo, Antonino Muschella, Francesco Zaffiro, Giuseppe Rodipere, Giuseppe Sergi, Giuseppe Picciolo,Felice Sideri, Diego Cardia, Benedetto Bassano, Antonino Vita, Bastiano Tuccio, Antonino Casanova, Domenico Passaniti, Francesco Ricciardi, Giuseppe Gullì.

    Li quali sopranominati capitani et marinari confessano come di sopra et s’obligano con giuramento, realiter et personaliter, osservare tutto et quanto nel presente instrumento se contiene et non contravenire sotto qualsiasi pretesto o quesito colore || (24v) così come esso illustre Signor abbate don Ferrante Spinelli s’obliga osservare detto instrumento et quanto in esso si contiene in tutto quello che ad esso appartine et non contravenire etc.

    Pro quibus omnibus observandis etc... ambae partes ipsae prout ad unamquamque ipsarum spectat et pertinet, actentis etc... sponte etc... obligaverunt  se ipsas earumque et cuiuslibet ipsosque heredes, successores et bona omnia presentia et futura ubique sita et posita et ubicumque consistentia etc..., etiam secundum formam laudabilis ritus Magnae Curiae Vicariae et Regiae Camarae Apostolicae respettive etc..., sub poena et ad poenam dupli medietate etc..., cum potestate capiendi etc., costitutione praecarii etc., renuntiaverunt, iuraverunt videlicet dicti nautae et capitanei tactis scripturis etc., dictus illustris dominus abbas don Ferdinandus Spinelli taco pectore more etc. Et quod  presens instrumentum possit in casu contrarii et inobservantiae etc. produci, incusari, et liquidari in omni cura, loco et foro etc., poenamque expensarum. Unde etc., actum etc.

    Presentibus iudice et testibus : Paulo Gagliardi regio ad contractus iudice, I.U.D. Didaco Franzè, reverendo don Alexandro de Costanzo, clerico Andrea Ascione, Vitaliano Cesario, Carolo Iliozzi, Augustino Bosco, Alberico Macrì aliisque et me notario regio et apostolico Francisco Camuso civitatis hieracensis ad presens hic Bobalini commorans, provincie Ulterioris Calabriae, manu propria rogato scripsi et signavi.

Saggio di Vincenzo Naymo

Informatizzazione a cura di Dora la Lumia